L’attesa per la serata più importante dell’anno sta per terminare: in vista della 92esima edizione degli Academy Awards, è ormai tutto pronto al Dolby Theatre di Los Angeles. Tra i presentatori di una serata, anche quest’anno senza conduttore, ci saranno Jane Fonda, Tom Hanks, Sandra Oh, Natalie Portman, Spike Lee, Penelope Cruz, Diane Keaton, Steve Martin, Keanu Reeves, Maya Rudolph, Sigourney Weaver, Timothee Chalamet, Will Ferrell, Gal Gadot e Lin-Manuel Miranda. Per i bookmaker, a dispetto delle 24 candidature, questo non sarà l’anno di Netflix.
Nonostante il battage pubblicitario da 70 milioni di dollari e le 8.469 pantofole inviate ai votanti per ricordare le nominations di Anthony Hopkins e Jonathan Price, il colosso dello streaming potrebbe chiudere con solo due statuette: miglior documentario per American Factory prodotto da Barack e Michelle Obama e Laura Dern migliore attrice non protagonista. La preoccupazione è che The Irishman di Martin Scorsese possa rimanere a bocca asciutta a dispetto delle 10 candidature.
È tempo di pronostici e, mentre ci avviciniamo di ora in ora alla Oscar Night 2020, abbiamo le idee molto chiare su chi si porterà a casa qualche ambita statuetta. Le sorprese e le smentite sono all’orizzonte (la categoria dedicata al miglior film riserva sempre le peggiori insidie al pari di qualcuna delle tecniche) ma il percorso nei precursors della Awards Season è attendibile indice di quelle che saranno le scelte dell’Academy. E poi c’è quel Parasite, rivelazione dell’anno, che potrebbe ambire anche allo stesso exploit di Roma di Alfonso Cuaron. E si è messa in mezzo anche un’app in tilt che ha spoilerato le previsioni della vigilia. Voti contati e buste ormai chiuse. Cresce l’attesa. E inizia la caccia all’invito per i party dopo il sipario sugli Awards: dal Governor’s Ball ufficiale dell’Academy alla kermesse di Vanity Fair e la super-festa organizzata da Madonna e dal tycoon dell’entertainment Guy Oseary l’anno scorso fotografata dal grande JR in persona.
Miglior film: la scelta è quasi obbligata e il novero piuttosto esiguo. 1917 di Sam Mendes è un capolavoro che ha convinto pubblico e critica e che sta già facendo incetta di premi. Il Golden Globe come miglior film drammatico e le 10 candidature all’Oscar sembrano aver tracciato la strada a quello che risponde alla descrizione di kolossal epico hollywoodiano da incetta di statuette in pieno stile Salvate il soldato Ryan. Un’ode all’inutilità della guerra la cui attualità l’Academy non potrà non riconoscere. I competitor hanno poche chance ma, se proprio dobbiamo indicare un paio di film da cui Mendes & co. devono guardarsi le spalle, sono senza dubbio C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino e, leggermente staccato, Storie di un matrimonio che incontra il gusto tradizionale degli Studios. Ma c’è Parasite, l’unico titolo davvero imperdibile della stagione, che spariglierebbe le carte e meriterebbe un assoluto trionfo della lucida analisi di quella che è la società contemporanea, fatta con intelligenza e destrezza narrativa. Un insieme di fattori che ne determinano la vittoria, per la “semplicità” espositiva e la linearità della narrazione che rende Parasite un’opera davvero universale.
Migliore regia: il premio bilancerà la delusione delle candidature rimaste tali per il miglior film. È il premio consolazione, che scommettiamo che andrà al film considerato meno accessibile. Decisamente il pronostico più ardito, per il quale però ci sentiamo di pronosticare ugualmente la vittoria di Sam Mendes per 1917, anche alla luce dell’ennesimo premio ai BAFTA. A differenza dell’Oscar al miglior film, tuttavia, lo scontro sarà senza dubbio più complesso, con Tarantino e Bong Joon-ho pronti a dare battaglia al regista britannico, e il maestro Quentin potrebbe avere qualche chance se l’Academy decidesse di considerarlo una sorta di indennizzo alla carriera con questo concentrato di “tarantinità” (ma meno splatter di quello a cui siamo abituati) e una celebrazione del glamour hollywoodiano anni Sessanta. Certo, Bong Joon Ho sconvolge con il suo Parasite, in grado di sovvertire ogni aspettativa e prendere in prestito da diversi generi, confezionando una storia eclettica e imprevedibile.
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Migliore attore protagonista: pochissimi dubbi. Lo immaginiamo sul palco, il sorriso timido e la faccia dura, che per questa volta non si deformerà in quella folle e spietata del Joker. Nessun paragone, niente Jack, Heath o Jared. Joaquin Phoenix è pressoché certo della vittoria, e azzardare un pronostico diverso da questo sarebbe folle quasi quanto la sua trasformazione in un disturbato e disturbante Arthur Fleck, che ci investe e ci obbliga ad essere testimoni della personale discesa agli inferi del personaggio. Dalla danza sulle scale al balletto nella Gotham insorta, Phoenix non perde mai di vista il suo ruolo, dominando un personaggio complesso e rendendolo vivo. La sua interpretazione ha messo d’accordo pubblico e critica. Dispiace senza dubbio per Adam Driver, unico vero outsider, che ha comunque il merito di una performance davvero convincente senza tuttavia poter vantare reali possibilità di competere per la statuetta. Purtroppo, caro Driver, sei capitato nell’anno sbagliato.
Migliore attrice protagonista: concorrenza un filo più serrata. La migliore interprete della stagione dovrebbe essere, salvo colpi di scena, l’ex Bridget Jones Renée Zellweger per la sua vibrante Judy Garland. È lei, con le sue smorfie, la voce commossa mentre canta Over the raimbow, il trucco (per il quale è candidato Jeremy Woodhead) e i costumi scintillanti, l’essenza stessa di Judy, cui Zellweger dà un’anima pur senza riuscire a salvare del tutto. Una carriera molto particolare quella dell’attrice che, pur non avendo sempre convinto, ha dimostrato un indiscutibile talento nel film di Rupert Goold. La seguono, con poche speranze di vittoria, la modernissima Jo di Saoirse Ronan e Scarlett Johansson che – come il collega Driver – ha sfoderato una grandissima interpretazione sotto la direzione di Baumbach.
Migliore attore non protagonista: tra i comprimari, ce n’è subito uno d’eccezione: è, infatti, finalmente, l’anno di Brad Pitt, alla sua quarta candidatura, che nel ruolo di Cliff Booth, regge sulle spalle l’intero film: i suoi sguardi, le sue gestualità, l’alchimia con Leonardo Di Caprio nonché la catarsi della sequenza finale. Brillanti tempi comici, imponente presenza scenica, la ricetta ideale per raccontare l’ostico ruolo di una spalla e di uno stuntman forse offuscato da DiCaprio, ma grande protagonista della vicenda. E poi diciamolo da quando ha detto che avrebbe fatto spazio a Leonardo Di Caprio su quella porta galleggiante tutti vorremmo avere un amico come lui. Dopo l’incoronazione ai Golden Globe, ai BAFTA, e ai SAG Awards, anche lo zio Oscar ci sembra alla sua portata ed è per questo che i nostri pronostici non possono che andare in questa direzione. L’unico vero rivale ha le fattezze di un solo esteriormente raggrinzito Joe Pesci, pronto a sovvertire le gerarchie e a stupire tutti ancora una volta, dopo l’ennesima grande performance in The Irishman di Martin Scorsese.
Migliore attrice non protagonista: un solo volto e un solo nome. Laura Dern. Nonostante lo scarso minutaggio, la prova attoriale dell’avvocatessa Nora Fanshaw in Storia di un matrimonio lascia senza parole per il suo straripante e determinato vigore. L’Oscar lo porta a casa sotto braccio già nella scena del primo incontro con Nicole. Anche lei ha già vinto Globe, BAFTA e Sag Awards 2020, ma per portarsi a casa anche la più ambita statuetta dovrà battere la concorrenza di un manipolo di donne agguerrite, capitanate da Florence Pugh, Margot Robbie e Scarlett Johansson (qui per Jojo Rabbit nel quale interpreta la madre anticonformista che nasconde in soffitta una ragazzina ebrea sfidando la Germania nazista del 1944 e le visioni inconsapevolmente razziste del suo stesso figlio che ha un grottesco e caricaturale Adolf Hitler come amico immaginario) Pochissime chance per Kathy Bates.
Migliore sceneggiatura originale: Quentin, perdonaci perché non sappiamo quello che diciamo. Le occasioni meritevoli non sono mancate, ma probabilmente non è la volta buona. Ci sono in lizza un Noah Baumbach parzialmente autobiografico ma soprattutto l’epifania di Bong Jon-ho per Parasite, che comunque – oltre al miglior film internazionale – è probabile riesca a riscuotere qualcos’altro. Ed è qui che arriveranno delle sorprese.
Migliore sceneggiatura non originale: scelta ardua e combattuta. Se dovessimo scommettere lo faremmo su Greta Gerwig e la rilettura in chiave personale, femminista e contemporanea del romanzo di Louisa May Alcott che riesce a rendere questo settimo adattamento cinematografico del bestseller ottocentesco fresco e originale. Ma qui sarà veramente competizione serrata e potrebbe esserci una grossa sorpresa, come magari Jojo Rabbit che senza dubbio meriterebbe un premio del genere. Minori probabilità per The Irishman, I due papi e Joker.
Miglior film internazionale: poco da dire invece per il film internazionale, dove l’Oscar 2020 sembra già scritto per Parasite. Già Palma d’oro a Cannes 2019 (la prima per un regista sudcoreano), c’è la lotta di classe made in South Korea raccontata senza slogan né bandiere ideologiche, ma attraverso lo sguardo di due famiglie contrapposte, una povera e una ricca, in un intrecciarsi di generi, dalla commedia nera al dramma sociale, passando per il thriller senza rinunciare a un certo sentimentalismo commovente. L’unico che potrebbe strappare la statuetta dalle mani di Bong Joon-ho è I miserabili di Ladj Ly, dramma sociale ambientato nella banlieau parigina di Montfermeil. Tuttavia, durante i recenti premi Goya, l’annuncio di Penelope Cruz come colei che consegnerà il premio Oscar 2020 per il miglior film straniero, ha destato qualche sospetto. Che sia il Dolor Y Gloria del veterano Pedro Almodovar la vera sorpresa?
Miglior film d’animazione: il 2020 preannuncia un testa a testa tra Toy Story 4 e Klaus, col piccolo gioiello natalizio made in Netflix e fresco vincitore ai BAFTA, che promette bagarre fino alla fine. Prodotto dagli spagnoli SPA Studios, con il supporto di Aniventure, è una rivisitazione del mito di Babbo Natale che riscopre la bellezza del disegno 2D e lancia un messaggio forte contro l’odio ingiustificato. Non va dato però subito per sconfitto Missing Link, che ha già vinto ai Golden Globe di quest’anno. Insomma, ne vedremo delle belle.
Miglio documentario: anche questa sezione potrebbe essere vinta da un film di guerra, ma a differenza di 1917 nel primo lungometraggio dei registi premiati con l’Emmy Waad al-Kateab e Edward Watts la tragedia ritratta non è storica ma attuale: è quella in Siria, vista attraverso gli occhi di una giovane donna che diventa madre mentre intorno a lei esplode il conflitto. Meritevole, nella stessa categoria, anche Made in Usa – Una fabbrica in Ohio, che racconta le speranze e gli scontri suscitati dall’apertura di una filiale dell’azienda cinese Fuyao in un distretto produttivo della provincia americana.
Migliore fotografia: per il comparto tecnico del suo 1917, Sam Mendes si è assicurato i servigi di quelli che sono probabilmente i due migliori mestieranti in attività per fotografia e scenografia. Le quindici nominations e i piani sequenza di Roger Deakins da una parte, e Dennis Gassner dall’altra. Il primo ha già vinto l’Oscar due anni fa per Blade Runner 2049, dopo ben 14 nomination, ma salvo grossi colpi di scena bisserà subito nel 2020 perché non ha rivali.
Migliore scenografia: alcune delle sequenze iniziali di 1917 vantano un’accuratezza che mette i brividi e si riconosce la mano di Gassner, che già avrebbe meritato il premio per Blade Runner 2049. Barbara Ling e Nancy Haigh per C’era una volta a… Hollywood sono più di semplici competitor e il set del film di Tarantino è come al solito una meraviglia. Si preannuncia una sfida complicata che Gassner potrebbe non vincere e nella quale si inseriscono con prepotenza anche Lee Ha-jun e Cho Won-woo per Parasite.
Miglior montaggio: è ressa anche per il montaggio, dove è Parasite il favorito, seguito dall’adrenalinico Le Mans ’66. Staccati Jojo Rabbit, The Irishman e Joker, che sembrano più semplici alternative. Nessuno parte da battuto, ma vogliamo andare controcorrente scommettendo su Le Mans ’66. Se The Irishman non dovesse ottenere premi nelle restanti categorie, tuttavia, quello al montaggio potrebbe essere una sorta di premio di consolazione.
Migliore colonna sonora: è Joker l’unico accreditato alla vittoria con le musiche di Hildur Guðnadóttir, che ha saputo accompagnare magistralmente la pellicola donandole uno stile unico. Quello di una favola nichilista, oppressiva, surreale, il cui eco si sentirà anche a distanza siderale nel tempo.
Miglior canzone: molto probabile il trionfo di Elton John e Bernie Taupin con (I’m gonna) Love Me Again, composta insieme al suo storico paroliere Bernie Taupin per il musical biografico Rocketman. Staccata di molto vediamo Into the unknown di Frozen II: Il segreto di Arendelle, e poi tutte le altre.
Migliori effetti speciali: la tecnologia ha letteralmente assuefatto l’immaginazione. Ormai nulla più è in grado di stimolare il senso di meraviglia una volta raggiunto lo zenit dello sviluppo visivo. È meno scontata di quel che si crede la vittoria di Avengers Endgame per il premio ai migliori effetti speciali, peraltro unica nomination ricevuta dal film dei fratelli Russo sui Vendicatori, ma alla fine la spunterà sul velluto l’epopea di Thanos e del suo maledetto Guanto dell’Infinito di casa Marvel. Lo scontro finale è pura emozione, con un’immagine epica che preannuncia uno scontro epocale. L’intensità della scena dei portali è poesia, per musica ma soprattutto per gli ottimi effetti speciali. La lotta con Star Wars è sicuramente spietata. Entrambe le pellicole chiudono un ciclo e gettano i semi per il prosieguo del loro universo. Ma DeLeeuw e Daniel Sudick hanno deliziato i nostri occhi con effetti fuori dall’ordinario, regalandoci la degna ed epica fine di un’era, quella del MCU, destinata comunque a rinnovarsi.
Miglior sonoro: la categoria per il miglior sonoro riserverà a nostro avviso ben poco stupore alla resa dei conti. 1917 è il favorito per la vittoria, e gli unici in grado impensierirlo un minimo sembrano essere Joker e Le Mans ’66.
Miglior montaggio sonoro: per il miglior montaggio sonoro 1917 sembra il favorito, ma qui l’eccellenza dei competitor non ci mette nella condizione di un pronostico da vivere con leggerezza. Quest’anno l’Academy sceglierà di distribuire le statuette che riguardano il sonoro a due diversi vincitori? Nel caso, potrebbe spuntarla Le Mans ‘66; altrimenti, prepariamoci a una doppietta per 1917.
Migliori costumi: Piccole donne, senza alcun dubbio, per gli eleganti abiti ottocenteschi disegnati da Jacqueline Durran. Al massimo, C’era una volta a… Hollywood, alle calcagna.
Miglior trucco e acconciatura: Bombshell potrebbe portarsi a casa il premio come miglior trucco e acconciatura – per il lavoro realizzato al fine di riprodurre quanto più possibile le sembianze dei volti-simbolo di Fox News – ma è testa a testa con Joker.
Insomma, i pronostici degli Oscar 2020 non sono mai stati così difficili. Pochi outsider, ma tanti favoriti. Ma quando si è chiamati a scegliere fra tanta qualità – e nelle candidature di quest’anno agli Oscar ce n’è molta – si ricade nel campo delle opinioni. E di quelle, ognuno ha la propria.