La pandemia ha mostrato il volto vulnerabile delle politiche turistiche territoriali che si sono dimostrate fragili di fronte alla complessità della modernità che nel tempo, una mancata governance di sistema, non ha saputo porre le basi per rendere stabile e strutturale la filiera produttiva del turismo, della mobilità, del tempo libero, delle attività ristorative e commerciali dell’intera nazione mettendo in crisi economica e di sicurezza sociale moltissime famiglie e imprese turistiche. Una crisi che ha modificato radicalmente abitudini e comportamenti di residenti e viaggiatori. E così è mutato anche il turismo.
Così ad un turismo che è parso sempre più frammentato, autoreferenziale, non organizzato e relegato al ruolo di “attrattore elettorale” sono nate dal basso forme “alte” e “alternative” di turismo, forse quelle più genuine e autentiche, che ha costretto i decisori pubblici locali a reinventare nuovi modelli di gestione delle attività turistiche che sino ad ora non erano per nulla considerate. Ciò che è iniziato come una misura straordinaria ed emergenziale, potrebbe trasformarsi in una visione permanente del futuro delle città e della costruzione delle politiche turistiche territoriali.
Cresce così la domanda turistica “natura”. I dati statistici ci dimostrano che vi è una crescita costante della richiesta di turismo naturalistico, incentrato fortemente sui valori della sostenibilità, alla riscoperta dei luoghi minori, poco conosciuti, alle forme di attività turistiche legate al cicloturismo, all’ippoturismo, alla valorizzazione dei sentieri, dei mulini, vitigni e palmenti che insistono nelle aree rurali, alla buona tavola, al benessere spirituale e fisico, al contatto con la natura e paesaggi incontaminati, con l’ambiente di vita quotidiana delle piccole comunità rurali, agli itinerari culturali rivolti ai beni architettonici, monumentali, artistici dei luoghi visitati. Allo stesso tempo si è affermata sempre più la figura dell’eno-viaggiatore spinto alla visita di un territorio (cibi, culture, culti) dalla volontà di vivere esperienze legate al vino e al cibo e conoscere direttamente la produzione locale ove acquistare, visitare o partecipare ad un tour enogastronomico accompagnato da degustazioni e visite ai musei del cibo, del vino e dell’olio (dieta mediterranea).
Il turismo lento, la mobilità dolce, sostenibile e di prossimità presenta un potenziale enorme fortemente connesso al nostro patrimonio culturale, religioso, storico, paesaggistico i cui temi si inseriscono in un nuovo modo di intendere il benessere, richiamando espressioni di socialità e di iniziativa economica più equilibrata, più rispettosa dell’ambiente, più attenta ai nostri veri bisogni e a quelli degli altri. La parola d’ordine, dunque, è “outdoor”.
Per questo motivo è opinione comune di tutti gli esperti di settore che il turismo non cresce per le attività di promozione o di attrattività ma per la capacità degli attori territoriali di integrare funzioni e processi in filiere di servizio per i viaggiatori. Quando cesserà la crisi pandemica e le restrizioni governative verranno meno, i flussi turistici internazionali avranno un impatto non indifferente in termini di numerose presenze nei territori. Allora le imprese turistiche, gli operatori della filiera turistica e i territori dovranno essere già pronti ad accogliere i nuovi viaggiatori sempre più esigenti, sempre più connessi e digitali, sempre più alla ricerca di qualità dei servizi, accessibilità, sicurezza sanitaria, ma soprattutto di innovative tecnologie per rendere l’esperienza del viaggio sempre più attrattiva e ripetibile.
Custodire la bellezza del creato, coltivare con responsabilità la terra, cooperare al bene comune di tutti sono i valori imprescindibili per gestire le risorse naturalistiche e sviluppare una rete integrata di sentieri per il trekking, cammini, escursioni; per riattivare vecchi e nuovi sentieri come per esempio il “sentiero dei mulini” presso il casale messinese di Cumia, ripristinare le trazzere storiche, garantendo a tutti i camminatori adeguate segnaletiche, servizi efficienti, sicurezza dei percorsi con mappe digitali, gps, segnaletiche, manutenzione dei percorsi, implementazione delle app per i self guided tours, “incoming” tematici per assaporare e gustare i prodotti tipici mediterranei dei vitigni e oliveti che caratterizzano la motivazione al viaggio esperienziale degli enoturisti.
Un’attenzione particolare al tema dell’accessibilità che offre a tutti la possibilità di essere uguali viaggiatori senza distinzioni di particolari problemi in quanto il diversamente abile non è una persona diversa, ma ha bisogno di approcci diversi alla realtà oggettiva nel proprio modo di comportarsi e atteggiarsi di fronte alla fruibilità dei servizi turistici e nella relazione con gli altri.
E non mancano in questo quadro i camminatori e amanti del turismo all’aria aperta (turismo itinerante) con i loro camper e attrezzature da camping i cui territori possono offrire ampi spazi per un servizio attento alla persona e i privati possono creare i “garden sharing”, aree verdi o giardini da condividere. È questo uno tra i settori economici non indifferente di sviluppo economico per le famiglie che hanno un giardino da condividere con i viaggiatori “en plein air”. La filosofia che anima questi camminatori è semplice: non vivere alla giornata, ma vivere la giornata.
Ma occorre in tutto questo contesto fare rete, creare un network di ospitalità diffusa, sicura, accogliente e locale. È l’idea che da più parti sta avanzando. Il cosiddetto “turismo di comunità” non idoneo se rigidamente legato a uno specifico spazio geografico o rurale, ritorna invece utile per indicare nuove forme di organizzazione turistica territoriale, che parta dal basso (bottom-up) capaci di creare non solo valore economico, ma anche e contemporaneamente relazioni e benessere sociale. Organizzare il turismo, quindi, come strategia identitaria per favorire la riscoperta del valore della prossimità, ripartendo dalla centralità della persona, mantenendo le relazioni tra comunità e viaggiatori perché l’attrattività dei territori è strettamente legata alla vivibilità e all’autenticità. Solo così potremmo garantire un’offerta turistica unica e di qualità.
È evidente che una destinazione turistica ha bisogno di necessariamente di una governance stabile e strutturata che si modifichi nel continuo dinamismo sulle politiche turistiche al variare della domanda turistica dei turisti contemporanei e intercetti quei i mercati internazionali per attrarre viaggiatori offrendo il “prodotto turistico natura” nell’arco di tutto l’anno, sostenuti dalla figura professionale dello “slow destination manager” che favorisce processi aggregativi ed inclusivi per la crescita della comunità locale alla “cultura della programmazione e della partecipazione” in una logica di coordinamento strategico e di una pianificazione mirata e calibrata alle esigenze degli eco-viaggiatori. Così il territorio potrà svilupparsi in modo armonioso nella crescita economica, sociale ed ambientale. Attuando le politiche di “neverending tourism” il cui concetto va oltre la presenza giornaliera del viaggiatore, costituendo una fonte di reddito non indifferente la possibilità di permanere più notti nello stesso luogo, se forte diventa il legame esperienziale con la comunità attraverso attività che coinvolgono emotivamente e consapevolmente lo stesso viaggiatore.
Un altro aspetto importante è il costante riferimento alla spiritualità e cultura ecologica così come ci viene suggerito da Papa Francesco nella “Laudato sì”. L’esigenza dei fedeli di conoscere i luoghi sacri si coniuga con la possibilità di accostarsi ad una forma di turismo lento ormai consolidato nel panorama dell’offerta turistica regionale. Un segmento dunque in costante crescita, ecosostenibile e assolutamente compatibile con le esigenze di allungamento della stagione, in quanto predilige le stagioni non tradizionalmente turistiche offrendo la possibilità di vivere esperienze a contratto con la natura e il territorio.