Negli ultimi giorni l’arrivo di circa 8mila migranti irregolari nella città di Ceuta, enclave spagnola in Marocco, ha aggravato le tensioni in corso da alcuni mesi tra Spagna e Marocco. Secondo i giornali spagnoli, il governo marocchino avrebbe rilassato i controlli alle frontiere come ritorsione per la decisione del governo spagnolo di accogliere nel paese per cure mediche Brahim Ghali, leader del Fronte Polisario, il movimento nazionalista che da più di 40 anni chiede al governo centrale marocchino l’indipendenza del territorio del Sahara Occidentale.
La Spagna ha costruito muri alti 20 metri, piazzato filo spinato, posto barriere subacquee e, di solito, la collaborazione della polizia marocchina basta a evitare infiltrazioni. Ma non negli ultimi due giorni. Improvvisamente, come per un ordine, migliaia di migranti dal Mali, dal Niger, dal Senegal, ma anche tantissimi marocchini sono partiti a nuoto per aggirare le barriere che si spingono nel mare per decine di metri. Molti sono abitanti della città confinante che, dalla chiusura dei valichi per il Covid un anno fa, hanno perso il lavoro nelle enclavi. Un centinaio è riuscito ad entrare a Ceuta e a disperdersi tra gli 80 mila spagnoli. La maggior parte, invece, è stata fermata sulla spiaggia.
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Ci sono state scene strazianti. Alcuni migranti erano sfiniti e sono stati soccorsi. Tra loro anche un neonato. La maggior parte però è stata tenuta con i piedi in acqua per evitare che, anche simbolicamente, toccassero il suolo europeo. E circa la metà degli 8mila migranti arrivati è stata già espulsa in Marocco. Gli altri verranno mandati indietro oggi in base a un accordo del 1992 e tuttora in vigore. «Ristabiliremo l’ordine con la massima celerità. Saremo fermi di fronte a qualsiasi sfida. L’integrità di Ceuta come parte della nazione spagnola sarà garantita dal governo con tutti i mezzi disponibili», ha dichiarato il premier spagnolo Pedro Sanchez.
Nel 1992 l’allora premier spagnolo Felipe Gonzales sottoscrive un patto con il suo omologo marocchino Driss Basri: l’accordo prevede che i migranti entrati in Spagna provenienti dal Marocco possano essere rispediti indietro entro un tempo massimo di dieci giorni. Nei primi dieci anni questo meccanismo viene messo in pratica in appena un centinaio di casi o poco più anche perché il numero degli arrivi resta quasi sempre contenuto. Ma nel 2005 tocca a un altro premier di sinistra (Luis Zapatero) affrontare la prima seria crisi migratoria, quando Ceuta e la vicina enclave di Melilla vengono invase in poche ore da migliaia di africani in fuga. In quell’occasione l’accordo viene rispolverato e scattano migliaia di espulsioni a caldo e senza troppe procedure.
Il quotidiano El País ha scritto che la crisi in corso è la «più grave» affrontata al primo ministro spagnolo Pedro Sanchez da quando è salito al governo, nel 2018. Sembra che il motivo scatenante alla base di tutto sia stato la decisione della Spagna di far curare in un ospedale spagnolo Brahim Ghali, il leader del Fronte Polisario per l’indipendenza del Sahara Occidentale.
Ex colonia spagnola, la regione è occupata dal Marocco da trent’anni. A dicembre, però, gli Stati Uniti hanno cambiato gli equilibri. Pur di aumentare il numero dei Paesi musulmani che riconoscono Israele, gli Usa hanno accettato la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale. La Spagna ha protestato e quando Ghali ne ha avuto bisogno l’ha ricoverato. La tregua nel Sahara è rotta. Come a suo tempo fece il leader libico Gheddafi, come ha fatto la Turchia di Erdogan, anche il Marocco ha fatto capire che può usare i migranti come merce di scambio.