Caterina Trombetti poetessa, insegnante e pedagogista è stata dal 1990 fino alla sua morte amica e collaboratrice (anche durante la sua nomina a senatore a vita) del poeta Mario Luzi. Figura femminile di grande importanza per capire alcuni aspetti degli ultimi 15 anni della vita del poeta e per ricostruire l’ultima fase della sua biografia e soprattutto della sua poesia. L’abbiamo intervistata per i lettori di Pickline per i quali viene pubblicato un testo inedito del poeta dedicato alla Trombetti.
Come hai avuto modo di conoscere Mario Luzi?
«Mario Luzi l’ho conosciuto grazie alla poesia. Avevo sempre scritto ma non avevo mai avuto il coraggio né di pubblicare né di farmi avanti nel mondo culturale fiorentino. Una sera invece a un incontro pubblico c’era anche lui. Mi domandò cosa facessi nella vita, gli dissi che ero un’insegnante, e che era appena uscito un mio libro (Il pesce nero). Glielo spedii con il numero di telefono. Poi un giorno lui mi telefonò. “Pronto, sono Mario Luzi”, disse. Mi tremavano le gambe, mi sembrava incredibile, non c’erano ancora i telefonini, era il 1990».
Cosa gli era piaciuto del tuo libro?
«“Ci trovo la vita qua dentro!”, mi disse. Effettivamente in quel libro c’era in nuce tutto il mio discorso poetico futuro».
Dopo quella telefonata lo hai risentito ancora?
«Sì, da allora è cominciato un rapporto di amicizia, fatto di un parlare e un ascoltare reciproco, che si svolgeva nella semplicità di un incontro piacevole di due persone con interessi affini, indipendentemente dal fatto che lui fosse un grande poeta».
Divenne per te un punto di riferimento?
«Sì, per me come per tanti altri. Nel mio caso, però, mi sentivo ascoltata e cercata. Mi trasmetteva fiducia per le mie potenzialità riguardo alla poesia. Poi nel 1995 il mio compagno morì. Luzi lo aveva conosciuto e apprezzato, e mi aiutò a superare il travaglio terribile perdita: con lui mi potei sfogare, potei piangere, lui mi ascoltò, trovò sempre le parole giuste. Ho voluto raccontare questo episodio perché è un esempio della sua umanità, ed è ciò di cui io voglio parlare. Del poeta tutti possono parlare, la sua umanità la può raccontare solo chi lo ha conosciuto».
Ti reputi fortunata ad averlo incontrato?
«Sì, perché ho vissuto un rapporto semplice ma anche profondo. Sono stata apprezzata come donna e poetessa da una persona di grande umanità e sapienza. Da allora tutto quello che ho pubblicato ha avuto sempre la sua prefazione sia che fossero cartelle d’artista sia che fossero volumetti di poesia. Con gli anni abbiamo approfondito sempre più la nostra amicizia. Ci univa anche la comune origine senese: si andava al Palio insieme e a poco a poco siamo anche entrati dentro l’anima del Palio, che è molto di più di quanto si vede alla televisione. I senesi per tutto l’anno vivono in funzione del Palio: il cittadino di Siena è profondamente modellato dall’essere nato in una Contrada».
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Quali altri aspetti pensi debbano essere ricordati dell’uomo Mario Luzi?
«Il suo senso dell’ironia, della scherzosità e della convivialità. Amava conversare, e soprattutto ascoltare. Si dava a tutti con grande generosità: ascoltava chiunque senza mai dare segno di essere stufo di un discorso o stanco di qualcosa. Quando poi esprimeva il suo pensiero bastavano anche solo tre considerazioni, che erano lapidarie, e vi condensava tutto un discorso. Nonostante i suoi anni aveva la giocosità e la curiosità di un ragazzo».
Ci dai un esempio della scherzosità di Mario?
«Passavamo in genere il Natale insieme con mia sorella, mio cognato e mio figlio. Lui arrivava tutto elegante, perché aveva una gran cura del suo aspetto. Arrivava poi il momento dello scambio dei doni che lui aveva pensato per noi e noi per lui. Mario aveva sempre la battuta pronta o sul cibo o su un vino, che alternava a riflessioni anche molto serie. Nel 2001 qualche giorno dopo il Natale mi diede un bigliettino con dei versi giocati sulla rima ‘Trombetti’. Te li leggo:
Richiesta di asilo…
Casa Trombetti,
dove tutti
anche i gatti
sono perfetti,
non negare al pellegrino,
ti prego,
il calore dei tuoi tetti.
Grazie, siate benedetti.
Mario.
Natale 2001.
Mario amava giocare con la parola. In alcune poesie emerge il suo spirito scherzoso, come in quelle d’occasione, vedi quella che dedica al principe indiano morto a Firenze, per il quale è stato eretto il tempietto dell’Indiano alle Cascine, alla confluenza dei due fiumi».
Luzi quando scriveva? Come scriveva?
«Aveva sempre con sé un libriccino, dove annotava delle frasi che confluivano nelle poesie. Però mi diceva che al mattino mentre era ancora a letto gli si formavano dei pensieri e delle poesie che scriveva e appuntava. Il lavoro di ricucitura e di rielaborazione dei testi che aveva scritto durante l’anno lo faceva però ad agosto, durante le vacanze estive. Aveva bisogno di un periodo abbastanza lungo senza impegni pubblici per riscrivere quello che aveva prodotto. Portava con sé la sua Olivetti del ‘45: scriveva e correggeva, poi rimetteva insieme le poesie che via via venivano pubblicate».
Vuoi parlarci un po’ anche di Luzi come uomo pubblico?
«Mario sentiva molto la problematica della mancanza di attenzione ai più deboli, e al settore della cultura. A volte si irritava per alcune notizie. Gli ho sempre consigliato di dire apertamente la sua opinione, perché lui era uno che veniva ascoltato. Si è tirato addosso molte cattiverie: c’era chi apprezzava il suo coraggio, ma anche chi per questo non lo amava. Con chiarezza però ha sempre detto quel che pensava ogni volta che vedeva delle cose politicamente poco buone per la nazione».
Pensi a un episodio in particolare?
«Sì. A fine 2004 al Teatro Biondo di Palermo era stato messo in scena dramma Il fiore del dolore che aveva scritto su Padre Puglisi. Avevamo passato l’ultimo dell’anno con altri amici e il due eravamo ritornati a Firenze. Luzi appena giunse a casa ricevette una telefonata: era un giornalista che conosceva e che spesso lo aveva intervistato, con il quale era anche in amicizia. Lui pensava fosse quel giornalista, che apprezzava, invece era il figlio, che gli domandò la sua opinione su quanto era accaduto a Berlusconi, che qualche giorno prima era stato colpito da un treppiede. Luzi rispose in tono confidenziale e scherzando che ‘la stava facendo troppo lunga’. Il figlio di quel giornalista pubblicò quanto lui aveva detto e lo diede in pasto ai politici di destra che gli si scatenarono addosso. Penso a quello che Gasparri disse di Luzi, alle lettere che gli arrivarono, alle cose che lo fecero addolorare! I suoi ultimi mesi da senatore li trascorse con la pena di essere stato aggredito, con il dolore che il suo pensiero era stato strumentalizzato».
Mario Luzi come poeta è stato adeguatamente riconosciuto? Si fa abbastanza per ricordare la sua poesia?
«No. Il valore della sua poesia è stato riconosciuto a pieno negli ultimi 15-20 anni della sua vita. La sua produzione copre un arco di settanta anni e secondo i critici è una poesia sempre in ascesa: negli ultimi testi arriva infatti a una sublimazione di tutto il contenuto che lui ha potuto elaborare in sé. L’assegnazione poi del Nobel a Dario Fo non ha convinto molti: Luzi è il grande poeta del Novecento, che ci porta in volo. Prova a prendere un suo libro di poesia: lo apri, leggi una pagina, anche un frammento. È come un lievito che ti entra dentro, e questo è solo dei grandi poeti. La sua scrittura rasenta la grandezza di quelle bibliche: ha una ricchezza così grande che basta anche una pagina. Non si fa neanche tanto per tenere vivo il suo ricordo. A Firenze e a Palermo vengono organizzati ogni tanto degli eventi, ma non basta ricordarlo il giorno della morte o in quello del compleanno. Cosa che io faccio ogni anno. Ultimamente il presidente della Regione Toscana Giani aveva stabilito che il 28 di febbraio sarebbe stato il giorno dedicato alla memoria di Mario Luzi ed ha organizzato anche varie iniziative per ricordarlo. Poi tutto si è fermato a causa della pandemia».
Se Mario Luzi fosse vivo cosa direbbe secondo te ai giovani di oggi?
«Direbbe di leggere tanto. Direbbe che la lettura è l’unica chiave per raggiungere la consapevolezza e la capacità critica e per imparare a leggere oltre le righe».