Turbanti neri di nuovo nei palazzi del potere. È l’Afghanistan dopo 20 anni di missione internazionale. Il regime dei talebani di oggi risponde a Haibatullah Akhundzada, ha il volto di Abdul Ghani Baradar e una leadership di eredi del mullah Omar, fondatore del movimento che dominò il Paese dal 1996 al 2001. Sono combattenti duri, formati dalle guerre. Nascono in genere da famiglie e clan estremamente religiosi. Ma nei metodi e nello stile appaiono molto cambiati. Sono davvero più moderati come proclamano? Oppure le loro aperture al mondo non nascondono altro che il desiderio di essere accettati dalla comunità internazionale per poi tornare a reprimere la loro popolazione e addirittura dare asilo ad Al Qaeda e Isis?
È molto difficile dirlo ora. Le prime dichiarazioni di alcuni portavoce del movimento fondamentalista alle emittenti occidentali fanno ben sperare: promettono tra le altre cose, «rispetto per i diritti delle donne e delle minoranze» e negano eventuali ritorsioni contro chi in questi anni si è schierato dall’altra parte. Rassicurazioni che stridono con le immagini di disperazione viste all’aeroporto di Kabul, dove alcuni cittadini afghani si sono persino aggrappati agli aerei dei governi stranieri nel tentativo di fuggire.
Le loro radici dirette nascono dalla jihad contro l’invasione sovietica negli anni Ottanta. Loro ancora non c’erano come movimento. Ma i loro leader più importanti venivano proprio da quel mondo, allora finanziato dagli americani nel contesto della Guerra Fredda per frenare l’influenza sovietica. Furono poi nel 1994 il Mullah Omar, assieme ad Abdul Ghani Baradar, a fondare i talebani tra gli studenti delle scuole religiose di Kandahar. Il loro iniziale obiettivo era quello di ripristinare la pace e la sicurezza dopo il ritiro dei sovietici, e instaurare nei territori che controllavano un’interpretazione molto radicale della sharia, la legge islamica.
La loro azione fu favorita dall’appoggio della popolazione, che in quel periodo particolarmente caotico per la storia del paese era in parte rassicurata dal ruolo che erano riusciti a ritagliarsi nei territori che controllavano. Il gruppo di fatto si era sostituito al governo, svolgendo parte delle sue funzioni: aveva cercato di stimolare la ripresa economica, ripristinato i collegamenti stradali distrutti, contrastato atti di corruzione e illegalità. I talebani avevano anche imposto la sharia nella sua forma più rigida, con punizioni ed esecuzioni pubbliche per chi violava la legge, e l’obbligo per gli uomini di farsi crescere la barba e per le donne di indossare il burqa. Si dicevano religiosi, ma neppure conoscevano l’arabo per leggere il Corano e adattavano la legge islamica ad ancestrali tradizioni tribali.
Quando presero il controllo di Kabul, nel 1996, i talebani fondarono l’Emirato Islamico dell’Afghanistan, senza un vero e proprio capo politico, ma con la forte leadership del mullah Omar, e due anni più tardi arrivarono a controllare il 90% del paese, tranne alcune piccole regioni a nord-est controllate dalla cosiddetta “Alleanza del Nord”. I talebani vietarono la televisione, la musica e il cinema, oltre che la coltivazione del papavero da oppio, di cui l’Afghanistan era ricchissimo, perché contrario alla legge islamica. Il nuovo regime introdusse inoltre norme molto restrittive delle libertà personali delle donne: oltre all’obbligo di indossare il burqa, fu loro vietato di guidare bici, moto e auto, di utilizzare cosmetici e gioielli e di entrare in contatto con qualsiasi uomo che non fosse il marito o un parente. Tra gli atti più noti compiuti dai talebani ci fu la distruzione dei Buddha di Bamiyan, nel marzo del 2001, cioè di due enormi statue di Buddha scolpite nella roccia della valle di Bamiyan, circa 250 chilometri da Kabul, più di 1.500 anni fa. La distruzione venne ordinata perché le statue erano considerate raffigurazioni di idoli, quindi contrarie alla legge islamica.
Dal 1996 i talebani ospitarono inoltre in Afghanistan le basi dell’organizzazione terroristica al Qaida, fondata all’inizio degli anni Novanta dal saudita Osama bin Laden. Il 7 agosto del 1998 al Qaida fu responsabile degli attentati alle ambasciate statunitensi di Kenya e Tanzania, a cui gli Stati Uniti risposero bombardando quattro siti militari in Afghanistan. Negli anni seguenti bin Laden continuò a godere della protezione dei talebani e ad avere le basi della sua organizzazione in Afghanistan: fu da lì che organizzò gli attentati dell’11 settembre del 2001 contro gli Stati Uniti. Il 7 ottobre successivo Stati Uniti e Regno Unito dichiararono guerra all’Afghanistan, per distruggere al Qaida e rovesciare il regime dei talebani.
Dopo la loro velocissima sconfitta nell’ottobre-novembre 2001 si dispersero sulle montagne. Il consiglio supremo dei talebani è stato la Shura di Quetta, dal nome della città in cui l’organo ha la sua base, Quetta, nella regione del Belucistan, in Pakistan. Dopo la morte del mullah Omar, avvenuta nel 2013 ma resa ufficiale solo nel 2015, a capo del gruppo c’è stato prima Akhtar Mansour, ucciso da un drone americano in Pakistan nel 2016. Da allora li guida il 61enne Hibatullah Akhundzada, ex capo delle Corti islamiche esperto in legge religiosa. Oggi cresce la possibilità che alla presidenza del loro nuovo governo sia nominato Abdul Ghani Baradar, che ha negoziato gli accordi di Doha con gli americani che prevedeva il ritiro graduale dei circa 13mila soldati americani dall’Afghanistan.
Il gruppo in questi anni è riuscito a rimpiazzare in maniera continua i propri membri uccisi in guerra, anche nei periodi più sanguinosi del conflitto. Questo continuo reclutamento, così come il pagamento delle spese sostenute dai miliziani, si deve anche alla struttura che i talebani si sono dati dopo l’11 settembre. Oggi infatti è molto più decentrata e i leader delle singole unità o singole province hanno ampi margini di autonomia, compreso appunto il reclutamento. Ma in verità si conosce molto poco dei loro equilibri interni. Non è neppure chiaro quale sia il loro reale atteggiamento nei confronti di Isis e Al Qaeda, che comunque dispongono di cellule ben presenti nel Paese.
La fragilità del governo afghano riconosciuto dalla comunità internazionale ha fatto sì che in molte zone dell’Afghanistan i talebani siano diventati una specie di “governo ombra”: hanno iniziato per esempio a riscuotere le tasse, mandandone circa il 20% alla leadership centrale in Pakistan e tenendo il resto per sostenere la guerriglia, e si sono dedicati all’estrazione illegale delle risorse dalle miniere del paese, alla tassazione dei beni e soprattutto allo sfruttamento dei proventi del traffico dell’oppio. Nonostante vent’anni di protettorato statunitense, insomma, i talebani non sono mai stati sconfitti realmente. Si sono riorganizzati e dopo l’accordo di Doha hanno riconquistato il Paese.