«Benvenuti nel dimenticatoio d’Italia». È la scritta che campeggia a Pretare, nella valle del Tronto, uno dei luoghi colpiti dal sisma del 2016. Il 24 agosto del 2016, un terremoto di magnitudo 5,9 devastava i territori di 138 comuni compresi tra Lazio, Marche, Abruzzo, Umbria. A cinque anni di distanza e dopo oltre 6 miliardi di euro di fondi pubblici e sostegni Ue, che diventeranno 10 entro i prossimi sei mesi, la ricostruzione è appena cominciata.
Era il 24 agosto 2016, quando una forte scossa rase al suolo Amatrice e Accumoli, in provincia di Rieti, e Arquata del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno. Era l’inizio di una serie di eventi sismici che avrebbero tormentato Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio fino al gennaio 2017. Il bilancio fu pesantissimo: 300 morti, 24 miliardi di euro tra costi e danni disseminati su un’area di ottomila chilometri quadrati, 600 mila persone coinvolte e 65.000 sfollati.
Il commissario straordinario di governo per la ricostruzione post sisma 2016, Giovanni Legnini, nel suo 3° rapporto, presentato per il quinto anniversario del terremoto, fa il punto della situazione al 30 giugno 2021 e certifica che, di cantieri, ne sono stati autorizzati e finanziati 10.263: metà in corso d’opera e metà già chiusi, con il risultato di restituire una casa a 12 mila famiglie.
Se da una parte i numeri assoluti fanno ben sperare, con quasi 5mila richieste di contributo alla ricostruzione accolte in un anno e 12mila famiglie rientrate a casa, nonostante gli edifici resi di nuovo agibili siano appena il 6,25% del totale degli interventi necessari, dall’altra alcune ombre incombono sul futuro di uno dei più grandi cantieri europei. «Al 30 giugno 2020 – spiega Legnini – le pratiche approvate e, di conseguenza, i cantieri aperti erano 5.325; ora sono 10.263. Negli ultimi dodici mesi, quindi, il loro numero è raddoppiato rispetto al totale dei quattro anni precedenti. Nel complesso, sono stati assegnati 2,7 miliardi di euro e ne è stato erogato poco più di uno. Possiamo dire che ormai la ricostruzione privata è decollata».
Tra i fattori che hanno aiutato a superare la paralisi ci sono la semplificazione del procedimento e la fissazione del termine massimo di 90 giorni per la sua conclusione. Mentre il servizio di assistenza risponde a centinaia di quesiti, a breve sarà varato un Testo unico per raccogliere e armonizzare le norme in materia. Visto che valutare i danni è stato particolarmente difficile per la vastità del territorio e il ripetersi delle scosse, si è anche avviata una ricognizione: a tale scopo, entro il prossimo 30 settembre si può esprimere l’intenzione di chiedere il contributo e per quale cifra tramite la piattaforma telematica del commissario.
«Tuttavia – scrive Legnini nell’introduzione al rapporto – gli sforzi compiuti non bastano a invertire la tendenza storica allo spopolamento, aggravata dalle due drammatiche emergenze, quella post sisma e quella legata alla pandemia. I dati, infatti, indicano che gran parte della ricostruzione deve ancora essere realizzata, che solo alcuni cittadini sono riusciti a rientrare nelle case o stanno per conseguire l’obiettivo e che le condizioni di sofferenza persistono». Ed emergono ulteriori ostacoli. Le 2.659 imprese capofila e i settemila professionisti abilitati per la ricostruzione potrebbero non essere in grado di affrontare l’impressionante mole di lavoro, anche a causa dei limiti al cumulo degli incarichi, così come rischia di andare in tilt l’apparato tecnico-amministrativo che guida le operazioni. Intanto, si è registrato «un aumento vertiginoso dei prezzi dei materiali» che ha costretto il commissario ad adeguare l’ammontare degli aiuti.
E muove timidi passi la ricostruzione pubblica. A partire dai borghi e dai centri storici distrutti. Nel primo semestre del 2021 si sono sbloccati circa mille interventi, con 169 cantieri attivi e 251 conclusi. La spesa effettiva è stata di 144 milioni di euro (a fronte dei 62 investiti l’anno scorso) per un totale che si avvicina a 411 milioni. Tra i 2.619 progetti sono compresi i 936 per le chiese, i 316 per l’edilizia residenziale e i 250 per le scuole; ma pure quelli per opere di urbanizzazione o ripristino di dissesti idrogeologici, per municipi, cimiteri, impianti sportivi, caserme e ospedali. Poi ci sono i beni culturali: palazzi, cinte murarie, teatri, musei. A dare impulso alla mano pubblica sono state le ordinanze speciali che hanno consentito al commissario di esercitare poteri in deroga e di velocizzare l’iter burocratico. «Abbiamo 1.365 cantieri già finanziati – continua Legnini – se manterremo il ritmo attuale, potremo legittimamente sperare che la ricostruzione abbia una durata ragionevole. A cinque anni dal terremoto, stiamo riducendo il ritardo accumulato».
Alle misure previste dalle leggi di Bilancio, dalla contabilità speciale del commissario e dal “Recovery Plan” si aggiungono quelle stanziate da due nuovi strumenti. Il Contratto istituzionale di Sviluppo, che mette sul tavolo 160 milioni di euro da utilizzare sia per la ricostruzione sia per la ripresa dell’economia nei posti più colpiti. Ma soprattutto il Fondo complementare al Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, che stanzia 1,78 miliardi di euro per le zone dell’Italia centrale ferite dalle scosse del 2016 e del 2009. Il “pacchetto sisma” del Pnrr distingue due tipologie di azioni da intraprendere da qui al 2026: da un lato, i programmi per l’efficienza energetica, la mobilità pulita e la transizione digitale; dall’altro, la valorizzazione del settore agroalimentare, della cultura e del turismo, ma pure la creazione di centri di alta formazione e ricerca.