«Ogni voto a Youngkin sarà un voto a Trump», aveva detto Joe Biden. Se il voto in Virginia doveva rappresentare un referendum tra lui e l’ex presidente, il responso è stato chiaro: il tycoon è ancora nel cuore degli elettori conservatori. E Biden non ha scaldato di nuovo i suoi elettori. La sconfitta in Virginia per gli analisti è il presagio di uno tsunami che fra un anno, alle elezioni di midterm, con ogni probabilità farà perdere al presidente tanto il controllo della Camera quanto quello del Senato.
Sicuramente la vittoria di Youngkin è considerata un brutto segnale per il Partito Democratico e una prova del calo di popolarità di Biden. Questo benché in varie città in cui si è votato martedì i Democratici siano andati piuttosto bene: non soltanto a New York, dove come secondo le attese ha vinto il Democratico Eric Adams, ma anche a Boston e Pittsburgh.
In Virginia Glenn Youngkin, milionario ed ex dirigente del fondo di investimenti Carlyle, ha ottenuto il 50,7% dei voti contro il 48,6 di McAuliffe, che era già stato governatore tra il 2014 e il 2018 e che cercava un secondo mandato. Durante la campagna elettorale, Youngkin si era presentato come un moderato, e si era distanziato dalla figura dell’ex presidente Donald Trump pur approvandone diverse idee politiche. Tra i punti principali della sua campagna ci sono state la riduzione della tassazione e la concessione ai genitori di più potere decisionale sull’educazione dei figli nelle scuole. La sconfitta del candidato democratico è particolarmente dura perché l’ex governatore era entrato in campagna elettorale da favorito e aveva ricevuto il deciso sostegno di Joe Biden.
La Virginia era governata dai Democratici dal 2009, ed era considerata uno stato “controllato” dal Partito Democratico, dove Biden aveva ottenuto un ampio margine alle elezioni presidenziali di un anno fa. Molti analisti hanno collegato la sconfitta dei Democratici in Virginia al momento difficile per la presidenza Biden, i cui consensi sono in forte calo e le cui riforme sono da mesi bloccate al Congresso.
Quello che fino a qualche tempo fa era un forte timore sta assumendo le sembianze di una quasi certezza. Per poter immaginare un recupero sarebbero necessari una svolta dell’economia con una forte ripresa dell’occupazione e, soprattutto, il rientro di un’inflazione oggi galoppante e un cambio di rotta drastico dei democratici: la lezione durissima di questi giorni dovrebbe spingerli a far passare le riforme e i piani d’investimento oggi bloccati dai veti incrociati ma devono anche cambiare una strategia di comunicazione politica oggi troppo basata sull’antitrumpismo.