Sarà il prossimo 16 dicembre il giorno del via alla somministrazione di Pfizer ai bambini dai 5 agli 11 anni. Lo fa sapere – dopo l’approvazione dell’Agenzia italiana del farmaco – la struttura del commissario straordinario all’emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo, che comunica di aver «programmato la distribuzione a dicembre di 1,5 milioni di dosi pediatriche di vaccino, in modo che tutte le strutture vaccinali delle regioni e province autonome siano in grado di procedere alla vaccinazione dei bambini»
Se appare certo che la campagna vaccinale partirà a breve per la fascia di età 5-11 anni, non è altrettanto scontata l’adesione da parte dei genitori dei bambini. E anche tra gli scienziati c’è chi si chiede: «Va fatto subito o è meglio aspettare?». Non ha mai nascosto il suo scetticismo verso l’approvazione del vaccino Covid per i bambini Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova: «Non sono contrario a vaccinare i bambini. Sono semplicemente attendista. Non c’è fretta, fra due mesi, quando avremo i dati degli Stati Uniti re di Israele dove sono partiti a tamburo battente con la campagna pediatrica, potremo concludere che questi vaccini sono sicuri. Sono certo che così sarà. Però è troppo presto per cominciare, adesso, con un piano di profilassi a tappeto. La fretta bisogna averla invece nel somministrare le terze dosi».
«Non c’è sicuramente fretta, aspettando due settimane avremmo avuto i dati su circa un milione di casi, che sono un po’ di più dei 2mila casi dello studio della Pfizer, e avremmo dato sicurezza a tutti quanti». Crisanti ha comunque precisato che la sua «non è la posizione di un No Vax», ribadendo al contrario che temporeggiare qualche settimana avrebbe contribuito a convincere i genitori scettici: «Lei pensa che una mamma si convince con 2mila casi o con un milione? Il vaccino anti poliomelite è stato approvato dopo essere stato testato su un milione e mezzo di bambini». Già all’indomani dell’approvazione da parte dell’Ema del vaccino ai bambini Crisanti aveva espresso perplessità, sostenendo che avrebbe preferito da parte dell’ente regolatore una linea di maggior prudenza: «L’autorizzazione da parte dell’Agenzia europea del farmaco è basata su uno studio che ha coinvolto circa duemila bambini. Una casistica limitata. Dal mio punto di vista e di altri colleghi con questi numeri si dovrebbe parlare al massimo di studio preliminare».
In quasi un anno di utilizzo, alcune ricerche condotte negli Stati Uniti e in Israele hanno rilevato una possibile correlazione tra la somministrazione dei vaccini a mRNA di Pfizer-BioNTech o Moderna e alcune rari problemi all’apparato circolatorio come le miocarditi, un’infiammazione del muscolo cardiaco, e le pericarditi, un’infiammazione del pericardio (il sacco che protegge e contiene il cuore). Anche se i casi riscontrati finora nella popolazione vaccinata in generale sono pochissimi e il problema sembra risolversi dopo qualche tempo. La condizione è comunque estremamente rara e il numero di partecipanti ai test non consente di fare stime accurate sugli effetti per i più piccoli.
«Il punto è sempre il calcolo tra rischi e benefici. Qualsiasi farmaco può dare effetti collaterali, la strategia corretta è evitare il rischio quando, anche se basso, non è indispensabile. Se un bambino ha già di suo delle altre patologie gravi, conviene vaccinarlo, per proteggerlo da un virus che, associato ad altre malattie, può rivelarsi grave». Così si è pronunciato Francesco Vaia, direttore dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma.
Sull’immunizzazione della fascia più giovane della popolazione il dibattito internazionale è ormai aperto da mesi come era già successo per gli adolescenti. Il presidente della Commissione tedesca Stiko specializzata su vaccini presso il Robert Koch Institute, Thomas Mertens, sulla base dei dati attualmente disponibili «non vaccinerebbe i propri bambini contro il Covid». Una affermazione resa nel “Podcast fuer Deutschland” della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Oltre agli studi per l’autorizzazione, «non ci sono dati di alcun tipo» sulla compatibilità del vaccino nella fascia fra 5 e 11 anni. «Le attuali pubblicazioni – afferma Mertens – mostrano che non sono possibili dichiarazioni su danni di lungo corso».