Più scuola in presenza e meno didattica a distanza. Questa la linea seguita dall’esecutivo del premier Mario Draghi nel nuovo decreto anti-Covid. Con una novità: la “distinzione” tra vaccinati e non vaccinati dai 6 anni in su. Una “distinzione” letta da molti come una forma di discriminazione, tanto più grave perché riguarda i più piccoli. «Come spiegare il motivo per cui non possono andare a scuola come gli altri per usufruire di un loro diritto allo studio?», si chiede il segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi.
Va anche registrata la posizione dei ministri della Lega Erika Stefani e Massimo Garavaglia, che non hanno votato il provvedimento dopo aver espresso la contrarietà alle misure che introducono una distinzione tra vaccinati e non vaccinati nelle scuole. «Pur condividendo le misure di apertura contenute nel decreto, in coscienza non potevamo approvare la discriminazione tra bambini vaccinati e non vaccinati. I dati ci dicono, per fortuna, che i contagi scendono quotidianamente e nostro dovere è lavorare con determinazione alle questioni concrete per risolvere i problemi del Paese», comunicano i ministri in una nota.
Tra le motivazioni della Lega che l’hanno portata a disertare l’ultimo Consiglio dei ministri ci sarà pure il tentativo di recuperare molta della centralità politica perduta, tuttavia la protesta espressa nei confronti delle nuove misure anti-Covid per la scuola appare giusta. Questa costituirà una misura che farà gravare sugli studenti la mancanza di provvedimenti concreti che invece avrebbero dovuto adottare già da tempo in questi due anni di pandemia per rendere la scuola sicura. Ora, invece, ci ritroviamo di fronte ad una didattica in presenza che sarà garantita solo ad alcuni.
LEGGI ANCHE: Scuole nel caos tra Dad, quarantena e autosorveglianza
Posizione condivisa dal sottosegretario del ministero dell’Istruzione, Rossano Sasso: «La soluzione proposta dal ministro Speranza rappresenta una grave mancanza di rispetto nei confronti della scuola, luogo per eccellenza di accoglienza e inclusione. Negare un diritto a qualcuno non rafforza di certo i diritti degli altri. Le famiglie chiedevano giustamente una rimodulazione dei parametri alla luce dell’evoluzione della pandemia e per alleggerire un carico già gravoso, ma si è scelto di percorrere una strada sbagliata. Basti pensare che nella fascia di età tra 5 e 11 anni risulta immunizzato appena un terzo degli alunni, visto che la campagna vaccinale è partita da poco tempo. Ciò significa tagliare fuori dalla comunità scolastica la stragrande maggioranza delle bambine e dei bambini, per decisioni, va sottolineato, che non dipendono da loro ma dalle famiglie da cui provengono. La gravità di questo provvedimento è di tutta evidenza».
Politicamente si rintracciano altre posizioni polemiche sul tema: «Per il governo i vaccinati positivi al Covid possono continuare a frequentare le lezioni o avere una quarantena ridotta in caso di presenze di positivi in classe, mentre i non vaccinati anche se sani devono restare a casa e permettere ai vaccinati di continuare a frequentare anche se positivi, facendo così circolare i contagi e quindi trasformando la Dad dei non vaccinati in una condizione permanente», afferma la senatrice Bianca Laura Granato. «Si tratta di un obbligo vaccinale di fatto per i minori – insiste l’ex senatrice pentastellata ormai al Gruppo Misto – di cui il governo non vuole assumersi alcuna responsabilità».
C’è chi invece guarda anche all’aspetto pratico della questione. D’altra parte, questo decreto aveva anche come obiettivo quello di semplificazione della gestione delle scuole. Ma secondo la segretaria generale Cisl Scuola, Maddalena Gissi, non si è proprio raggiunto tale obiettivo ancora: «Con le nuove misure si cerca di guardare alla normalizzazione, che purtroppo è parziale, perché anche la distinzione fra vaccinati e non vaccinati nelle quarantene introduce elementi di complessità che la scuola dovrà continuare a gestire a partire dalle difficoltà di comunicazione con le famiglie».
Per il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, «introdurre l’opportunità per i vaccinati di restare a scuola e non per i non vaccinati non è assolutamente un tentativo di discriminazione da parte del governo. È invece una indicazione di marcia per il riconoscimento di quelle famiglie che hanno fatto questa scelta».
Ecco cosa prevedono le nuove norme. I bambini della scuola dell’infanzia, che per lo più non sono vaccinati e non hanno l’obbligo della mascherina in classe, restano a scuola fino al quinto contagio del proprio gruppo o classe. Poi stanno a casa in quarantena, che è ridotta da 10 a 5 giorni. Per rientrare è sufficiente un tampone antigenico fatto in farmacia, dove è gratuito con la prescrizione del medico.
Alle scuole elementari i bambini vaccinati restano sempre a scuola: dopo il primo caso nella classe dovranno indossare per 10 giorni la mascherina Ffp2. I non vaccinati andranno in Dad a partire dal 5 caso. Per tornare dovranno mostrare l’esito di un tampone molecolare o antigenico anche fatto in farmacia dove è gratuito con la prescrizione del pediatra. Nel caso in cui un bambino presenti sintomi compatibili con il Covid, è sufficiente un tampone anche autosomministrato a casa con l’autocertificazione del genitore.
Alle scuole medie e superiori niente Dad per i guariti, gli esenti e i vaccinati da meno di 120 giorni o con il booster. Vanno in Dad al secondo caso nella classe coloro che ancora non hanno completato il ciclo vaccinale. Staranno a casa per 5 giorni (e non più per 10) e potranno tornare con tampone negativo anche della farmacia (gratuito con prescrizione del medico). Nel caso in cui uno studente presenti sintomi compatibili con il Covid, è sufficiente un tampone anche autosomministrato a casa con l’autocertificazione del genitore.