«Oggi le ragazze hanno più modi per essere un artista perché esistono più piattaforme: c’è TikTok, c’è SoundCloud. C’è la ragazza che suona nella sua bedroom, che scrive il suo diario personale pubblicando canzoni e costruendo una base di fan tramite i meme. Sento però che ci sono ancora scatole in cui le donne dovrebbero inserirsi. Così come ci sono sicuramente momenti che rompono gli schemi: Billie Eilish è diventata la più grande artista del mondo, segnando una evoluzione. Billie ha fatto un’esibizione usando auto-tune e il mondo è imploso. Io sono una ragazza strana, che vive ai margini: ho fatto Pop 2 e la gente mi ha amato per questo. Questo mi ha aiutato a sostenere una carriera che, dal 2014 al 2015, non ha avuto un grande successo commerciale. Ho trovato una nuova prospettiva di vita avvicinandomi ai suoni underground e avant-garde».
Si presenta così Charli XCX, cantautrice britannica di Cambridge, classe 1992, al suo quinto album, intitolato Crash. In copertina appare selvaggia amazzone appesa al parabrezza, come se fosse saltata lì dalla strada, tagliata e sanguinante e pronta a combattere. «Sono ad alta tensione, autodistruttiva, finisci tutto in modo leggendario», canta all’inizio dell’album, con una chitarra distorta e una voce che potrebbero scatenare un piccolo tornado. Crash segna la fine di un contratto di cinque album che Charli aveva firmato con l’Atlantic quando aveva 16 anni, un impegno di tredici anni che spesso è sembrato un peso per l’artista, che accusa l’etichetta di aver ritardato le uscite e di aver cercato di manipolare la sua immagine («Se vuoi un burattino, vai a prenderti un burattino», ha urlato più di una volta in faccia ai suoi capi). Crash fa il punto su come le major possono trattare spietatamente le giovani star che riempiono le tasche dei loro azionisti.
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L’album sembra quasi una compilation dei più grandi successi, con pop-funk cinetico e dream-pop strutturato, ma i nuovi suoni che esplora sono orientati verso una musica selvaggia. È come se il gotico di True Romance, modello infernale di Sucker, l’esplosivo Pop 2 e il disco senza filtri di How i’m feeling now si siano riuniti per un ultimo scoppio. Crash è il miglior progetto di Charli dai tempi di Pop 2, un astuto abbraccio di stili pop moderni e vintage che stabilisce un livello per il pop mainstream creativo: la fabbrica dei sogni spietata e inebriante può masticarti e sputarti e lasciarti tornare. «Ho realizzato un album per una major, con tutto ciò che la vita di un prestanome pop ha da offrire nel mondo di oggi: celebrità, ossessione e successi globali», spiega la ragazza di Cambridge, presentando Crash come un esperimento coraggiosamente provocatorio, contro l’amore continuo per l’«autenticità» nel pop. Ma l’idea che fare musica ultra-commerciale e piacevole per l’etichetta sia un audace atto di ribellione non sembra reggere. Da una parte è un j’accuse all’industria, dall’altra emula le ultime dive del pop, da Lady Gaga a Dua Lipa.
Per questo atto finale, Charli – l’anti-popstar per antonomasia, come lei stessa si definisce – ha voluto al suo fianco le amiche Caroline Polachek e Christine and the Queens, presenti in New Shapes, un singolo che sintetizza Crash, in cui ciascuna artista ha scritto una strofa sulle relazioni, argomento che hanno discusso a lungo sui sociale e sui podcast: .«Penso che ci innamoriamo tutti in modo diverso», ha commentato Charli.
La narrazione di Crash è anche il racconto dei periodi alti e bassi di Charli XCX nell’industria musicale, ha aggiunto. La sua speranza è che questo album sia il trampolino per la definitiva consacrazione fra le celebrità pop: «Solo per vedere se posso farlo», spiega. «Per me, c’è sempre stata questa eterna domanda, tipo, potrei essere l’artista più grande del mondo? O non sono fatta per questo? Sono troppo strana, troppo sinistra, troppo supponente, troppo antipatica, troppo diversa? Insomma, chi sono e quanto valgo? Chi diventerò? Come sarò?».
Trasformazione ed evoluzione sono stati gli argomenti ricorrenti quando Charli XCX, Polachek e Christine si sono incontrati a dicembre, per discutere di registrazioni ed esibizioni in tutti i continenti. Ciascuna di loro si è avvicinata alla musica da strade diverse: Polachek dall’ex band indie di Brooklyn Chairlift: Charli sul fronte pop alimentato dai social media (ha iniziato su Myspace); Chris, che ultimamente si è rintanata a Los Angeles al lavoro su un nuovo album di Christine and the Queens, arriva con un background teatrale e di performance inebrianti. «Sono fuori dai social, ho smesso a luglio. La mia salute mentale è migliore. La mia connessione con il presente è migliore», dice Christine and the Queen, alias Hélöise Letissier, artista francese. «Penso che il sociale a volte – quando è iperfiltrato e deve essere incisivo, accattivante, immediatamente digeribile – incoraggia qualcosa che non comprendo io stesso, come artista. A volte voglio prendermi più tempo per esprimere un’idea».