Al-Andalus era la Spagna medievale musulmana, mitico luogo di armoniosa tolleranza religiosa, di autentico dialogo fra culture. Sotto lo sguardo magnanimo di colti principi arabi, i musulmani, gli ebrei e i cristiani abitavano in pace le medesime, prospere città; i più intellettuali tra loro non esitavano a filosofare in compagnia gli uni degli altri, ben più uniti dalla ricerca comune della verità, nutrita di sapienza antica, che non divisi dalle distinzioni religiose. Incontri che avevano per scenario l’atmosfera raffinata di un giardino, all’ombra del palazzo dell’Alhambra, avvolti dal profumo inebriante del gelsomino, dove il suono di una chitarra pizzicata in lontananza veniva appena disturbato dal mormorio di una fontana. Un paradiso simboleggiato dalla Moschea-Cattedrale di Cordova, che si sarebbe trasformato in inferno quando su quella stessa terra si agiterà la scure dell’Inquisizione spagnola, sinonimo d’intolleranza e di fanatismo.
Quell’Andalusia d’inizio secolo scorso oggi non è soltanto una pagina di storia: è un mito. Un mito di potente forza evocativa, tanto in Oriente quanto in Occidente. Ne è attraversata la letteratura francese, dal romanticismo di Chateaubriand al sogno di riconciliazione mediterranea di autori segnati dalla guerra d’Algeria. Ha nutrito la poesia, irrorata di nostalgia, del palestinese Mahmoud Darwish. Lo si ritrova nel cinema del regista egiziano Youssef Chahine. Riecheggia nella musica di Siwan, il collettivo musicale transculturale e trans-idiomatico guidato dal tastierista e compositore norvegese Jon Balke.
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Le leggende e la poesia di al-Andalus continuano a ispirare Balke e compagnia, che dal 2007 produce una musica contemporanea plasmata da musicisti che scelgono di ascoltare, rispondere e adattarsi. In Hafla, ad esempio, terzo lavoro dell’ensemble, uscito per la prestigiosa etichetta Ecm, Jon Balke riunisce un musicista kemençe turco, un maestro iraniano del tombak, un innovativo batterista norvegese, un’energica sezione di archi di specialisti del barocco e una cantante algerina, Mona Boutchebak, alla cui voce affida testi di Wallada bint al-Mustakfi, la principessa omayyade di Cordoba dell’XI secolo e amante di Ibn Zaydun, il grande poeta di al-Andalus.
Hafla celebra il concetto di convivenza e cooperazione, sostenendo i risvolti positivi della diversità culturale, mentre guarda indietro nella storia e in avanti verso nuovi modelli di lavoro condiviso. Il suonatore di kemençe, Derya Turkan, si confronta con il gruppo barocco Barokksolistene, il suono delle tradizioni degli archi mediorientali e occidentali che converge o contrasta. Altrettanto avvincente è la percussione creativa, il ritmo idiosincratico di Helge Norbakken che si insinua in profondità nel tessuto della musica, e il croccante tombak di Pedram Khavar Zamini, che attinge ed estende la tradizione classica persiana, offre un commento continuo. «Ho dovuto trovare il modo di scrivere nuova musica per musicisti che normalmente non leggono gli spartiti», ha spiegato Balke, parlando del processo creativo alla base dell’album. «Per il Barokksolistene tutto è scritto, per gli altri di solito registro versioni demo del materiale, con me che suono le percussioni così come le tastiere e talvolta il violoncello, in modo che tutti abbiano almeno uno schizzo delle canzoni».
«L’album è stato poi registrato a turni: una sessione con la maggior parte dei solisti e Mona, e una seconda sessione con Derya Turkan e gli archi», prosegue l’artista norvegese. «I divieti di viaggio hanno impedito a Pedram Khavar Zamini di partecipare direttamente: invece ha aggiunto i dettagli del suo tombak all’opera quando tutti gli altri elementi erano a posto. Ora l’intero ensemble è desideroso di mettersi in viaggio».
Il tour è in partenza in maggio e Balke prevede di rafforzare la performance musicale con una presentazione visiva, «con video arte basata sulla geometria islamica». Perché il mito non è la semplice e nostalgica evocazione poetica di un paradiso perduto, ma diventa punto di partenza per ricercare la bellezza.