Poco meno di un mese fa diversi Paesi hanno cominciato a segnalare casi di vaiolo delle scimmie. In Italia il primo contagio risale al 20 maggio e oggi sono una ventina. Nel mondo oltre 550, in una trentina di Paesi dove la malattia non è endemica. «La crescente epidemia di vaiolo delle scimmie rimane contenibile e non vi è alcune necessità immediata di vaccinazione di massa contro l’ortopoxvirus», chiarisce l’Organizzazione mondiale della sanità.
Il virus comunque «ha differenze significative rispetto a Sars-CoV-2, a partire dal fatto che non si trasmette facilmente tra gli esseri umani — ha detto Marco Cavaleri, responsabile della strategia vaccini dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) — È probabile un aumento dei casi, ma attualmente non c’è una emergenza sanitaria. L’attenzione dovrebbe rimanere sull’identificazione, il monitoraggio e la gestione dei nuovi contagi». Inoltre, «sebbene l’epidemia sia insolita, inclusa l’ampia diffusione geografica, è rassicurante che la maggior parte dei pazienti abbia avuto sintomi lievi e si sia ripresa senza bisogno di cure». Finora nessuno degli infettati è deceduto.
Ma nonostante le rassicurazioni dell’Oms e dell’Ema i nostri esperti già avanzano l’ipotesi di una possibile inoculazione per proteggerci dalla nuova minaccia. Quello che sappiamo è che al momento un nuovo vaccino contro il vaiolo delle scimmie è stato sviluppato grazie al contributo dell’esercito, ma non garantisce ancora standard di sicurezza ed efficacia in quanto non è stato testato ancora su un numero sufficiente di pazienti. Anche perché, come ricordato, i casi al momento non sono molti e i test richiederebbero gruppi più numerosi di persone alle quali sottoporre il farmaco.
Tra le prese di posizione che abbiamo letto in questi giorni, c’è quella di chi sostiene che i vaccini già esistenti contro il vaiolo avrebbero un’efficacia «dell’85% contro il vaiolo delle scimmie». Una percentuale molto alta, sulla carta visto che non è stato realmente testato. Nel 2003, un focolaio di vaiolo delle scimmie era stato confermato negli Stati Uniti: si trattava della prima volta che la malattia si manifestava al di fuori del continente africano. Nell’occasione, non esisteva ancora una vaccino autorizzato, anche se il Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione raccomandava che l’uso di un farmaco (ACAM2000) per la prevenzione del vaiolo delle scimmie in individui ad alto rischio di esposizione. Nel 2019, un altro vaccino vivo contro il virus era stato autorizzato negli Stati Uniti. Per questi farmaci, però, non mancano i rischi di “gravi eventi avversi”, come la miopericardite. In proporzione, se per il vaccino anti-Covid Pfizer i casi di reazioni gravi sono (ufficialmente) 0,9 ogni 1.000 somministrazioni, con il vaccino contro il vaiolo si passa a 5,7 casi ogni 1.000. Dati che dovrebbero far riflettere, e parecchio, prima di iniziare a parlare di nuove inoculazioni.