Dalla Danimarca arriva una notizia che rappresenta, nell’ambito della sempre più controversa questione delle vaccinazioni anti-Covid, un elemento di notevole importanza. Le autorità sanitarie danesi hanno, infatti, deciso di sospendere in maniera definitiva la vaccinazione per i minori di 18 anni. «Dal 1° luglio 2022 non sarà più possibile per bambini e ragazzi di età inferiore ai 18 anni ottenere la prima dose, e dal 1° settembre 2022 non sarà più possibile ottenere la dose di richiamo», si legge in una nota del governo.
Mentre in Italia per i minori la vaccinazione contro il coronavirus viene raccomandata da pediatri e virologi, la Danimarca ha deciso ancora una volta di andare controcorrente. Già a giugno, sempre in Danimarca, si era già parlato di vaccinare i minori solo in caso di consiglio medico e quindi esclusivamente dopo un controllo da parte del proprio pediatra. «I giovani solo molto raramente hanno un decorso grave della malattia da Covid-19, motivo per cui l’offerta della vaccinazione primaria per i bambini tra i 5 e i 17 anni non sarà un’offerta generale, ma potrà essere somministrata dopo una valutazione medica specifica». Insomma, sarà al massimo il pediatra a indicare la necessità di vaccinare il bambino o il ragazzo e, di conseguenza, soltanto i più fragili tra i minori residenti in Danimarca riceveranno il vaccino contro il coronavirus.
La giustificazione scientifica della decisione è di una semplicità disarmante: bambini e giovani solo molto raramente si ammalano gravemente di Covid. È l’evidenza clinica e dei dati epidemiologici, che dicono di un tasso di letalità dello 0,00015% sotto ai 20 anni. La Danimarca ha recepito il parere degli studiosi che, sin dall’anno scorso, da quando le aziende produttrici di vaccini a mRNA avevano ottenuto l’approvazione dagli enti preposti alla somministrazione negli under 18, si erano chiesti che senso avesse vaccinare i bambini, per una malattia in cui l’età media dei deceduti è di 81 anni.
La Danimarca è un paese che sui vaccini contro il Covid si è spesso comportato controcorrente. Già in passato il paese scandinavo aveva “fatto pubblica ammenda” sul vaccino inoculato ai minori. In particolare il direttore generale sanitario danese, Søren Brostrøm, aveva dichiarato in tv che la vaccinazione per i minori era stata un errore e aveva chiesto scusa: «Con tutto quello che sappiamo oggi sul Covid devo ammettere che è stato un errore e in futuro non chiederemo più vaccinazioni contro il Covid per i bambini in Danimarca. Non abbiamo ottenuto granché dall’estensione del programma di vaccinazione ai bambini in termini di controllo dell’epidemia».
Infatti, fin dagli inizi la pandemia di Covid-19 si è poco diffusa tra i bambini rispetto agli adulti: si stima che sotto i 20 anni di età la suscettibilità all’infezione sia circa la metà rispetto a chi ha più di 20 anni. In Europa i casi di malattia in età pediatrica sono tra l’1 e il 5% dei casi totali di Covid-19; in Italia il numero dei casi positivi al di sotto dei 18 anni è inferiore all’1% dei casi positivi. Inoltre, nei bambini l’infezione si manifesta con un quadro clinico più favorevole rispetto all’adulto: il 4,4% è totalmente asintomatico, il 94,1% presenta quadri clinici lievi o moderati.
Da ultimo uno studio effettuato in Brasile e Scozia e pubblicato l’8 agosto su Lancet dice che negli adolescenti, dopo 27 giorni dal secondo shot, la protezione dalla malattia sintomatica offerta dal vaccino Pfizer comincia a calare in maniera drastica. La ricerca ha preso in considerazione oltre 600mila test effettuati su 3,5 milioni di ragazzi tra i 12 e i 17 anni vaccinati con due dosi di vaccino Pfizer. Anche se sono riscontrate differenze tra i due Paesi, le tendenze identificate dai ricercatori erano sovrapponibili. L’efficacia del vaccino raggiungeva il picco tra i 14 e i 27 giorni dopo la somministrazione della seconda dose e risultava inferiore nel periodo in cui circolava la variante Omicron rispetto al periodo dominato da Delta. In particolare, nella fase Omicron il picco di efficacia contro la malattia sintomatica è risultato del 64,7% in Brasile e dell’82,6% in Scozia. Nel periodo Delta, l’efficacia è stata rispettivamente dell’80,7% e del 92,8%.
Tutte queste evidenze scientifiche dimostrano che gli attuali vaccini trovano significato nella protezione delle popolazioni a rischio, come gli anziani, dove la malattia può essere grave e letale. Al contrario, la vaccinazione dei bambini non comporta sostanziali benefici diretti, data la bassa incidenza e manifestazioni cliniche moderate della malattia nelle fasce pediatriche, né benefici di rilievo per la collettività, poiché i bambini non hanno un ruolo rilevante nella trasmissione del SARS-CoV-2. I vaccini in uso, inoltre, non azzerano la trasmissione dell’infezione, hanno durata indefinita ed efficacia ridotta su alcune delle varianti sinora emerse. Non è stata stabilita, ad oggi, la necessità e la frequenza di dosi di richiamo per mantenere l’immunità conferita con i vaccini (ma già si prospettano con insistenza rivaccinazioni almeno annuali), ed è sconosciuto l’effetto di un’eventuale immunizzazione periodica.
A fronte di benefici minimi o nulli, molti studiosi ritengono che non sia opportuno esporre i bambini né al rischio di eventi avversi immediati né al rischio di eventi avversi a lungo termine ancora non individuati, ma possibili. In Italia, invece, le istituzioni sembrano invece aver fatto un patto inviolabile con le case farmaceutiche, per cui ormai le dosi di vaccino sono acquistate per essere smaltite. Chissà se la via intrapresa dalla Danimarca diventi un modello da seguire in Europa, anche se il principio di precauzione impone di non cedere alla fretta di vaccinare i bambini finché non si avrà una conoscenza sufficiente delle conseguenze di questa vaccinazione.