Alla transizione ecologica nel Pnrr sono dedicati 71 miliardi, mentre alla sanità, del fondo pensato proprio per superare la crisi Covid, ne andranno “solo” 15,63, più altri 5 circa, tra Piano complementare e React Eu. Ci raccontano che dobbiamo cambiare i nostri stili di vita, altrimenti, entro il 2050, la civiltà collasserà per effetto del cambiamento climatico. Ma non c’è il rischio che, per rifilarci la svolta green, sfruttino la pandemia?
Una sorprendente conferma di quanto sia funzionale attingere al repertorio pandemico, per avallare le politiche ambientaliste, arriva da uno studio appena pubblicato su Environmental science & policy, riportato e spiegato da La Verità. Gli autori dello studio, infatti, mettono nero su bianco la tesi che «il Covid-19 e altre future crisi possono offrire una promettente opportunità ai governi europei per accelerare i loro sforzi nella protezione climatica, in termini di legittimazione sociale».
Fin dal titolo la tesi appare chiara: «La paura del Covid-19 rafforza le convinzioni sul cambiamento climatico». I ricercatori ungheresi si sono basati su un sondaggione dell’autunno 2020, condotto nei 27 Paesi dell’Ue e nel Regno Unito. Le risposte dei cittadini, intervistati telefonicamente, mostrano che «profonde preoccupazioni per il Covid-19 sono fortemente associate a serie inquietudini riguardo il cambiamento climatico».
In parole povere: più temi la catastrofe sanitaria, più temi la catastrofe ecologica. A tal proposito, due dettagli assumono un’importante rilevanza per meglio comprendere la situazione. Innanzitutto queste ansie per le sorti del pianeta sono risultate superiori «nei Paesi in cui la pandemia ha condizionato più severamente la vita delle persone». Si tratta degli Stati con un elevato «stringency index», l’indicatore che misura la durezza delle restrizioni contro il virus. Vuol dire che più divieti sono stati introdotti, più la gente sembra essersi convinta che la Terra è in pericolo. Addirittura, lockdown e altri provvedimenti influenzano le idee sull’ambiente maggiormente «dei dati sulle infezioni o la mortalità». Ciò significa che conta di più l’allarme percepito dell’allarme reale. Una cosa che avevamo ben compreso negli ultimi due anni. La differenza la fa la narrazione: un metodo di governo basato sulle emergenze sarà dunque il futuro e in tal modo si potranno far accettare tutti gli sconvolgimenti voluti e calati dall’alto.
Secondo particolare rilevante: «Le preoccupazioni sul Covid-19», si legge nel paper, «hanno un impatto più considerevole su quelle per il cambiamento climatico tra gli individui con più elevato “scetticismo d’attribuzione” […], minor convinzione nell’impatto negativo del cambiamento climatico […] e un più basso livello d’istruzione». Lo «scetticismo d’attribuzione» non è altro che l’incredulità nei confronti del ruolo umano nelle alterazioni del clima. Dunque, se aumenta la paura del virus, è probabile che pure quei dubbi sulla dottrina ambientalista vengano erosi. Ed è più facile far scalfire le convinzioni di chi sottovaluta la minaccia ecologica, specialmente i meno istruiti.
In definitiva, abbiamo la prova scientifica, che si vuole approfittare del coronavirus per velocizzare grandi transizioni programmate da anni, ma democraticamente invendibili. Ormai questo modus operandi costituisce un vero e proprio consiglio strategico, rivolto dagli esperti ai governi. Ma c’è di più. La ricerca ungherese dimostra che le emergenze non seguono la logica del chiodo scaccia chiodo: quando ne affiora una, la precedente non viene soppiantata. Il «bacino di preoccupazione», come lo chiamano quelli bravi, è potenzialmente infinito: «Un aumento nella preoccupazione per una minaccia può accrescere le paure di altri pericoli». Insomma, governare attraverso la paura sembra essere le nuova chiave di volta per il potere.