Ci hanno raccontato che le sanzioni europee avrebbero piegato la Russia di Putin, costringendola a interrompere l’invasione dell’Ucraina perché messa in ginocchio sotto il profilo energetico. Ma sei mesi dopo l’inizio delle operazioni militari il risultato è esattamente l’opposto: siamo noi europei a trovarci alle prese con bollette alle stelle, mentre il gigante dell’energia russa Gazprom continua a crescere nei profitti.
Il continuo stress sui prezzi, alimentato dai tagli operati nei flussi diretti verso l’Europa, ha finito infatti per riempire di utili le casse dell’azienda simbolo del governo di Vladimir Putin: secondo gli analisti, soltanto nei primi 6 mesi del 2022 i profitti sarebbero già intorno ai 30 miliardi di dollari. Come raccontato da Fabio Pavesi sulle pagine de La Verità, la conferma arriverà il 30 agosto con la pubblicazione dei dati di bilancio del primo semestre Gazprom. Se questi numeri saranno confermati, Gazprom porterà a casa gli stessi utili di tutto il 2021, che era già stato un anno record per la compagnia. Un risultato mai toccato nella storia dell’azienda, più che duplicato rispetto al 2020. See è vero che i tagli delle forniture hanno comportato un calo nella produzione e nei volumi delle esportazioni del gigante russo, scesi del 13% a livello globale; è altrettanto vero che a compensare questo sacrificio è stato il continuo aumento dei prezzi.
Risultato: un notevole incremento delle quotazioni del gas sulle piazze finanziarie che ha più che compensato le minori esportazioni. Non è un caso che nei giorni scorsi la stessa Gazprom ha anticipato un possibile nuovo boom del prezzo del gas, forse addirittura del 60%, con l’arrivo dell’autunno. Insomma, quelle sanzioni che dovevano rappresentare la fine della potenza finanziaria dell’azienda statale russa si sono rivelate, col senno di poi, una benedizione. Eppure l’Europa continua a insistere, convinta della bontà della linea intrapresa.
E su questo si sta giocando gran parte della campagna elettorale italiana. Un punto su cui sta spingendo molto il leader leghista, Matteo Salvini, che ha posto l’accento con tanto di cifre, non tanto sulla giustezza e sul principio delle sanzioni a Putin, quanto sulla loro efficacia e durata. Come abbiamo evidenziato, stando ad alcuni indicatori economici incontrovertibili, il quadro economico della Russia avrebbe retto l’impatto delle sanzioni senza grossi scossoni. Ciò per Salvini dovrebbe determinare almeno un dibattito a livello internazionale che prenda in considerazione un cambio di strategia. Parlando al Meeting di Rimini, il segretario del Carroccio ha osservato che le sanzioni «teoricamente dovrebbero colpire il sanzionato e costringerlo a fermarsi. I numeri delle Banche centrali ci dicono che nei primi sei mesi di quest’anno è successo l’esatto contrario. Sulle sanzioni alla Russia bisogna guardare i numeri: l’avanzo commerciale della Russia è 70 miliardi di dollari, per la prima volta nella storia il sanzionato ci guadagna. Chiedo di valutare – ha aggiunto – l’utilità dello strumento, perché se funzionano andiamo avanti ma se funzionano al contrario rischiamo di andare avanti dieci anni. Uno strumento che doveva dissuadere Putin nell’attacco – ha detto ancora Salvini – finisce con il favorirne l’economia e non vorrei che proprio le sanzioni stessero alimentando la guerra. Spero che a Bruxelles stiano facendo una riflessione».
Per il segretario del Pd, Enrico Letta, «Putin sta ricattando l’Italia e l’Europa e al ricatto non si risponde col cedimento». «Autunno e inverno – ha detto Letta al Meeting di Rimini – saranno molto più complessi di quanto pensavamo, bisogna far salire il livello di interventi e sulle sanzioni le scelte vanno prese insieme con i nostri alleati. La cosa peggiore da fare- ha concluso – sarebbe dare segni di cedimento a Putin , cambiare linea significherebbe darla vinta alla Russia».