Le fake news non risparmiano nessun tema, neanche quello della salute e dell’alimentazione. I falsi miti su glutine e carni rosse, le credenze popolari sulle proprietà “miracolose” di alcune spezie o frutti, e le tante diete “fai da te” che circolano nel web sono il frutto dell’improvvisazione e della superficialità di chi scrive di nutrizione spesso senza averne le competenze. Inoltre, spesso le scelte dei consumatori possono essere influenzate dal marketing e da mode che propongono cibi “salutari” senza che vi siano in merito riscontri scientifici. Ne abbiamo parlato con la biologa nutrizionista Maria Teresa D’Agostino, esperta in nutrizione clinica, bariatrica e sportiva.
«Le fake news in ambito alimentare rappresentano un grosso pericolo per la salute: diete che promettono miracoli troppo spesso nascondono grandi insidie per la salute. Dalla dieta del gruppo sanguigno alla dieta alcalina, passando per integratori e bevande che promettono risultati miracolosi: le bufale in ambito alimentare sono davvero tantissime. Purtroppo, con la sempre maggiore diffusione di guru e consulenti del benessere privi di qualifiche che si spacciano per esperti della nutrizione, sembra che questo trend sia destinato ad aumentare».
Quanto sono comuni le fake news sull’alimentazione, i falsi miti e le dicerie sul tema “cibo”?
«Le fake news sull’alimentazione probabilmente sono sempre esistite, ma la diffusione di internet, dei social network e mezzi di comunicazione in genere, ha permesso uno sviluppo esponenziale di notizie poco attendibili o del tutto bizzarre. E così il mercato di diete, consigli e decaloghi poco attendibili è in costante espansione. Per contrastare questo fenomeno bisogna agire sul fronte culturale e promuovere una corretta divulgazione di corretti stili di vita e di tutte quelle informazioni, adeguatamente confezionate, che contribuiscono alla prevenzione primaria e secondaria delle principali patologie. Bufale e disinformazione sono molto pericolose quando riguardano la salute e spesso non è facile distinguerle tra milioni di informazioni».
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Cosa fare per combattere la disinformazione in ambito alimentare?
«Acquisire una maggiore consapevolezza alimentare è il primo e più importante passo per evitare di cadere vittima di queste errate convinzioni e finire per adottare comportamenti che possono nuocere alla salute. Il secondo è rivolgersi a uno specialista. Di fronte alle fake news sull’alimentazione è dovere dei professionisti in nutrizione fornire una risposta univoca e coordinata basata su linee guida scientifiche, ma è anche compito di ogni individuo informarsi sulla veridicità delle informazioni e sulla professionalità delle figure a cui si rivolge. Le false promesse e le aspettative nei confronti di diete miracolose o dell’uso di integratori, pongono il consumatore in una posizione sensibile. Sono lo stile di vita e la corretta alimentazione i capisaldi della salute e del benessere. Per perdere peso, per migliorare la composizione corporea, per ottimizzare la performance sportiva o semplicemente per stare bene, bisogna concentrarsi sull’alimentazione e sull’attività fisica, sulla qualità del riposo e sull’equilibrio psico-emotivo. Una corretta educazione alimentare potrebbe aiutare una gestione dell’uso, dell’abuso o dell’errato uso delle diete, diminuendo l’effetto della spinta commerciale e mediatica».
Quali sono le fake news più diffuse?
«I falsi miti su glutine e carni rosse sono quelli più diffusi. Si sta diffondendo la moda della dieta senza glutine, anche tra coloro che non soffrono di celiachia: secondo i suoi sostenitori questo tipo di dieta sarebbe più salutare e aiuterebbe a perdere peso e a migliorare lo stato di salute. In realtà non è così. Così come la credenza che la carne rossa faccia venire il cancro non è scientificamente provata. Ma non vi è evidenza scientifica che la carne rossa non lavorata, assunta nelle giuste quantità e nell’ambito di una dieta variata, sia un agente cancerogeno certo. Per alcune categorie come i bambini e le donne in gravidanza costituisce un alimento molto importante per fornire i nutrienti necessari come il ferro e la vitamina B12. Il dibattito sui suoi reali rischi e benefici è sempre più acceso: nel 2015 lo IARC, Agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si occupa di valutare e classificare le prove di cancerogenicità delle sostanze, ha definito la carne rossa come probabilmente cancerogena e la carne lavorata come sicuramente cancerogena, soprattutto rispetto alla comparsa di tumore del colon-retto, ma anche di altri tipi di tumore, per esempio, al pancreas, alla mammella, allo stomaco e alla prostata, sebbene per questi ultimi i dati raccolti siano ancora insufficienti. Ma la pericolosità della carne, in termini di effetto cancerogeno, sembra dipendere soprattutto dai metodi di lavorazione (possono essere aggiunte sostanze pericolose come nitrati e nitriti) e di cottura (le cotture ad alta temperatura, per esempio alla griglia, o le fritture, determinano la formazione di sostanze potenzialmente dannose). È bene sottolineare che l’aumento del rischio di comparsa del tumore dipende dalla quantità e frequenza di consumo di questi alimenti. Il Comitato Nazionale per la sicurezza alimentare raccomanda di seguire un regime alimentare vario, evitando l’eccessivo consumo di carne rossa, sia fresca che trasformata, di prestare attenzione alle modalità di preparazione e cottura degli alimenti, limitando cotture alla griglia ad alte temperature e fritture, e di seguire un’alimentazione che comporti una riduzione dell’apporto di grassi e proteine animali e favorisca invece l’assunzione di cibi ricchi di vitamine e fibre, che possa prevenire anche le malattie cardiovascolari oltre che quelle tumorali. In generale, il consumo di carne rossa o lavorata non deve superare i limiti raccomandati dalle Linee Guida per una sana alimentazione: la popolazione adulta non dovrebbe mangiare più di una volta a settimana una porzione, pari a 100 grammi, di carne rossa e solo occasionalmente una porzione, pari a 50 grammi, di carne lavorata».
È vero che mangiare cibi senza glutine è più salutare?
«In assenza di patologie che giustifichino l’eliminazione dalla dieta di cibi contenenti glutine, è consigliabile consumare tali cibi per non privarsi dei nutrienti in essi contenuti. Per un celiaco, una dieta priva di glutine, è fondamentale per evitare di sviluppare gravi carenze nutrizionali, eliminare i sintomi e prevenire le rare, ma gravi complicanze della celiachia. Al contrario, in assenza di una diagnosi di celiachia fatta da un medico con gli opportuni accertamenti clinici e diagnostici, privarsi di cibi contenenti glutine non è consigliato. Innanzitutto perché rimuovere i cereali contenenti glutine, come frumento, orzo e farro dalla propria dieta significa privarsi non solo delle principali fonti di carboidrati complessi, ma anche dei minerali, delle vitamine, delle proteine e soprattutto delle fibre alimentari in essi contenuti. In secondo luogo, utilizzare prodotti senza glutine (gluten-free) per chi non è celiaco, non comporta nessun vantaggio per lo stato di salute e, inoltre, gli inevitabili squilibri nutrizionali, che una dieta di eliminazione comporta, potrebbero determinare anche l’aumento di peso corporeo. L’eliminazione dei cereali contenenti glutine e l’utilizzo dei prodotti gluten-free, quindi, dovrebbero essere rigorosamente ristretti a tutte le persone con diagnosi di celiachia certa ed effettuata da un medico: in questo caso la dieta diventa una vera e propria cura ed evita l’insorgenza di manifestazioni anche gravi. Per tutti gli altri, la privazione del glutine non solo è una scelta immotivata, ma anche controproducente».
Per dimagrire basta saltare i pasti?
«Privare l’organismo di calorie e nutrienti durante la giornata non aiuta a ridurre la massa grassa. Quello che accade è l’opposto: il corpo, privato di cibo, va in allerta e rallenta il dimagrimento. Quando si salta un pasto avviene un fisiologico calo di zuccheri nel sangue, con due conseguenze: il cervello è spinto a desiderare cibo e aumenta il desiderio di carboidrati per mantenere gli zuccheri a valori normali. Dopo aver saltato un pasto si arriva più affamati a quello successivo e si ha la tendenza ad abbuffarsi. A lungo andare ne risente anche il metabolismo. L’abitudine prolungata a saltare la colazione, il pranzo o la cena, nel tempo, fa perdere massa magra e aumentare massa grassa, determinando anche un rallentamento del metabolismo».
Tra le credenze più comuni c’è anche quella che l’ananas brucia i grassi. Quanto c’è di scientifico in questa affermazione?
«L’ananas è un frutto ricco d’acqua (la sola polpa ne contiene più dell’80%) con pochissime calorie (solo 57 per 100 grammi) e molteplici proprietà nutrizionali (è particolarmente ricco di calcio, potassio, fosforo e vitamine A e C e polifenoli). All’ananas però è spesso associata la capacità di bruciare i grassi. Il falso mito deriva dal fatto che l’ananas contiene una sostanza, chiamata bromelina, in grado di rompere le molecole proteiche degli alimenti rendendole più digeribili, ma che non ha alcuna attività sui grassi. Diversi studi clinici hanno mostrato gli effetti antiedematoso (riduzione della ritenzione di liquidi), anti-infiammatorio e anti-trombotico della bromelina. Dunque, l’ananas può aiutare la digestione ed è un ottimo drenante essendo ricco di acqua. Tali aspetti lo rendono ideale per una dieta ipocalorica».
Un’altra convinzione molto diffusa è che lo zucchero di canna sia migliore di quello bianco. È realmente così?
«In realtà, lo zucchero bianco contiene solo saccarosio (glucosio + fruttosio), mentre quello di canna contiene anche dei residui di melassa, che gli conferisce il tipico color bruno e un aroma differente. Pertanto, la convinzione che lo zucchero di canna sia migliore di quello bianco tradizionale è completamente priva di fondamenta scientifiche. Nessuno studio o ricerca scientifica ha mai dimostrato che lo zucchero di canna sia migliore o più salutare di quello bianco. Entrambi sono costituiti dal saccarosio, che apporta in ogni caso 4 calorie per grammo e va consumato con moderazione. Scegliere lo zucchero di canna al posto di quello bianco per ottenere un dimagrimento non è quindi una buona strategia».
Gli integratori sostituiscono i nutrienti dei cibi?
«Integratori, barrette e bibite possono sicuramente vantare buone proprietà nutritive per composizione, ed essere utilizzati con altri scopi, ma difficilmente hanno la completezza di un pasto equilibrato e sano. I cibi sono molto complessi dal punto di vista nutrizionale per essere riprodotti in laboratorio ed è impossibile inserire tutte le sostanze in essi contenute in una compressa, tavoletta o soluzione. Un’alimentazione varia ed equilibrata è in grado di sopperire ad ogni richiesta del nostro organismo. Il concetto di integratore presume una carenza, ma reali carenze nutrizionali nella popolazione sana generale sono improbabili, salvo la possibilità che un’alimentazione sempre uguale privi l’organismo di alcuni alimenti che non mangiamo (ad esempio la vitamina B12 nelle diete vegane, poiché è presente solo negli alimenti di origine animale). Gli integratori alimentari devono essere prescritti dal medico e utilizzati per un periodo di tempo limitato. Le evidenze scientifiche a favore dell’uso degli integratori sono limitate a poche patologie, stati di carenza nutrizionale o aumentato fabbisogno fisiologico in cui l’integrazione di alcune sostanze può essere utile. Quando auto-prescritti sulla base del sentito dire o di mode del momento, gli integratori non sono privi di rischi».