Torrioni, rifugi, giardini di monasteri. La magia di un borgo fermo nel tempo. San Gimignano. Orizzonti Verticali. Non un festival (come ricordano Tuccio Guicciardini e Patrizia de Bari il 25 agosto in occasione della presentazione nel cortile del Palazzo comunale della nuova edizione) ma un cantiere delle arti, un luogo dove poter continuamente sperimentare, difendere la parola, innovare, essere nella contemporaneità. E tale effettivamente è.
Un’immersione nel passato e nella bellezza, ma anche nel presente. Fin dal primo spettacolo: Storia d’amore e di calcio di Michele Santeramo. Un monologo. A leggere il testo è Fabio Facchini, un giovane, promettente attore. La sua voce si staglia fra le mura del Torrione di Mangiapecore. È l’ora prima dell’imbrunire. Con intensità, struggimento, leggerezza, ironia, racconta una storia fatta di momenti poetici, di lavori mal pagati, di speranza e disperazione, di sudore, infelicità, e gioco. La vicenda si svolge nella piazza di un paese del Sud, dove si incontrano italiani e immigrati.
Simboleggia il Sud di tutto il mondo, la disperazione, la solitudine, il dolore di genitori che sono costretti a dire il figlio che deve andare via perché non possono più dargli nulla. Per chi vive al Sud la fortuna passa, non si ferma, ha sempre fretta, il Sud è sempre terra di arrivo di altra gente che viene da posti ancora più a Sud. Gli immigrati (polacchi, marocchini, libici, indiani, ecc.) si ritrovano nella piazza del paese con gli italiani, dove l’integrazione non è possibile. Le persone devono sopportarsi a vicenda. L’unica cosa che li accomuna è la povertà. Per spartirsi il territorio si inventano un campionato di calcio clandestino. Grazie al gioco clandestino, non riconosciuto, non regolare, avviene la magia dell’incontro, al quale non si è mai preparati. L’incontro è quello che avviene durante il campionato fra gli immigrati di diversa nazionalità, fra gli ultimi della terra, che per un giorno hanno la loro rivincita, il loro momento di gloria, ma anche fra l’italiano che racconta la storia (la voce narrante) e una giovane ragazza indiana (una Beatrice immigrata) di cui si innamora. Una storia di calcio, d’amore, di incontro, di diversità, di sguardi, di potere, di scommesse clandestine, di innocenza perduta, di scelte. Drammatica nella conclusione ma ardente di passione civile e di volontà di denuncia.
Dal Torrione di Mangiapecore al Giardino del Monastero di San Girolamo. È l’ultima sera di Orizzonti verticali. Nel giardino si respira un’aria di pace, di meditazione, di ricerca di Dio. Qui la Compagnia Tiziana Arnaboldi mette in scena Autour du corps (Omaggio al Bauhaus). Dal silenzio alla musica. A passi lenti due ballerine fanno il loro ingresso in scena: si muovono nel giardino intorno a cerchi di legno. Compiono movimenti circolari, simmetrici in cerca di un ordine, di una posizione nello spazio; si inseguono in modo vorticoso in uno sconfinato allontanamento. Nell’atto di prendere i cerchi sembra che vogliano impossessarsi del tempo: il loro è un tentativo estremo di comunicazione. Poi i passi si fanno concitati, si apre quasi uno iato fra le due ballerine, un vuoto di non senso, una tragedia. I loro corpi sembra vogliano anestetizzare un ricordo, un pensiero, un dolore, il senso di non essere, l’incombenza della morte (resa forse dal colore scuro degli abiti). Con movimenti misurati disegnano geometrie, poi riuniscono i cerchi in un solo cerchio, forse a voler ricomporre in un’ideale vicinanza la propria vita e il proprio vissuto. Le due ballerine antitetiche e speculari non si incontrano mai. Sono orbite che ruotano mosse da un’energia il cui contatto è solo frutto di vibrazioni. Nelle simmetrie, nelle sonorità, nelle vibrazioni, c’è il senso del tutto: la passione, la drammaticità della vita, la lontananza e la vicinanza dagli altri.
Marco Baliani fa il suo ingresso in scena su un palco allestito sulla Rocca di Montestaffoli. È molto atteso. La sua figura si staglia nel buio. Fra le mani ha un libro. È scritto da lui. Legge per un po’. Poi interrompe la lettura e si rivolge al pubblico. Da quel momento recita. Subito così ci porta nel ritmo di Opposti flussi. Il primo è fra scrittura e oralità. La scrittura ci consente di fissare per sempre le storie, che diventano immutabili. L’oralità invece di aggiungere sempre qualcosa; ma è proprio il valore dell’oralità, della voce che mette in moto il monologo di Baliani che si muove fra antico e contemporaneità. Le storie fra loro si incontrano, diventano un tutt’uno come ad esempio quella di Giove, Tifone, e Cadmo che si intrecciano con quella contemporanea della guerra fra Russia e Ucraina o con la questione ambientale o con il riferimento agli americani che hanno sganciato due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Nei flussi opposti di Baliani c’è la possibilità dell’incontro fra cose fra loro apparentemente antitetiche come ad esempio realtà e immaginazione; il mondo contemporaneo ha un’ossessione per la realtà (reality show, ecc.), l’arte invece si nutre di immaginazione che è un’alta forma di conoscenza.
Tutto è immaginazione. La contemporaneità ha trasformato l’immaginazione in realtà, e poi in incubo. Baliani da grande affabulatore con leggerezza, profondità e semplicità riesce a coinvolgere il pubblico. Ama raccontare, tessere legami, come quello fra mito e parola orale, fra scienza moderna e mondo antico, fra fisica quantistica e realtà e immaginazione. La realtà quella ‘vera’ non la conosciamo (che è altra cosa da quella che la televisione ci impone da anni), e va oltre la nostra immaginazione. Baliani ci porta ai confini del nostro universo, ma anche nel quotidiano dove tutto è retto dalla materia oscura che non conosciamo. Noi viviamo grazie a un’oscurità. ‘Speriamo resti tale’- esclama l’attore -Così posso continuare a inventare storie.’ Le storie da sempre accompagnano l’uomo, rendono meno terribile il mondo. È questo è il senso del raccontare, e forse oggi più che mai c’è bisogno di storie, di arte e bellezza, per esorcizzare il nuovo Tifone, che ritornato dagli inferi, minaccia la vita e l’umanità. Riscoprire il valore delle storie, apprendere da quelle passate, può forse essere un modo per stare nella nostra difficile contemporaneità.