Sono 1.878 i medici, secondo le stime Fnomceo, che potrebbero essere reintegrati nonostante non abbiamo fatto il vaccino anti-Covid. Il nuovo ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha precisato che quello che andranno a fare saranno «le singole direzioni sanitarie a deciderlo, valutando il posto migliore». In Puglia, ha detto l’assessore alla Sanità, Rocco Palese, la legge che obbliga il personale sanitario a vaccinarsi anche contro il Covid «c’è e rimane in vigore», dunque non potranno entrare in contatto con i pazienti. Stessa scelta in Campania, dove il presidente della regione, Vincenzo De Luca, ha inviato una direttiva di analogo contenuto.
Il nuovo governo Meloni ha da poco annunciato un chiaro cambio di strategia nella lotta al virus, mostrando fin dai primi giorni di insediamento gli effetti concreti della discontinuità annunciata con il governo Draghi e con la gestione Speranza. Tra i primi cambiamenti anche la decisione di ordinare il reintegro in servizio del personale sanitario sospeso nei mesi scorsi per inadempienza all’obbligo vaccinale. Un passo che ha stabilito, dal primo novembre, lo stop anticipato dell’obbligo vaccinale e che subito dopo ha impegnato tutti gli ordini professionali di medici e infermieri a comunicare ai diretti interessati e alle Asl la revoca di sospensione all’albo.
E mentre le virostar parlano di errore clamoroso, le regioni reagiscono al cambio di rotta non senza polemiche. In Puglia l’opposizione alle direttive del governo è netta. L’assessore alla Salute Palese ha rinnovato l’intenzione di non aderire alla direttiva di Schillaci, respingendo la revoca di sospensione e mantenendo fuori dal servizio i 10 medici del sistema sanitario regionale non vaccinati e i 103 dipendenti non immunizzati. «La situazione di questo personale sanitario è regolata dalla legge regionale, che consente solo agli operatori che si sono vaccinati, secondo le indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente, di poter accedere a determinati reparti ospedalieri. Questo a tutela dei pazienti e degli stessi operatori», ha commentato l’assessore alla Sanità, Rocco Palese.
La legge regionale in Puglia, quindi, stabilisce che gli operatori sanitari non vaccinati non possono essere a contatto con i pazienti ricoverati negli ospedali. «Legge che ha passato anche il vaglio della Corte Costituzionale e che prevede che al fine di prevenire e controllare la trasmissione delle infezioni occupazionali e degli agenti infettivi ai pazienti, ai loro familiari, alla collettività, i reparti devono consentire l’accesso ai soli operatori che si siano attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente per i soggetti a rischio per esposizione professionale». Ed è proprio a questa legge che il nuovo sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, si è riferito annunciando per il prossimo futuro una netta reazione alla posizione di Palese: «La legge regionale della Puglia che impedisce l’impiego dei medici non vaccinati contro il Covid-19 nei reparti più a rischio verrà impugnata».
Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca ha inviato una direttiva ufficiale ai direttori generali delle Asl e delle Aziende Ospedaliere con la quale si obbliga «di definire l’impiego del personale sanitario non vaccinato contro il virus Sars-Covid19» al fine di tutelare la salute «dei pazienti e degli operatori vaccinati». Secondo la nota saranno quindi messe in campo «le necessarie azioni dirette a contrastare ogni ipotesi di contagio, evitando il contatto diretto del personale non vaccinato con i pazienti».
Dopo il terremoto che negli ultimi giorni ha continuato a scuotere gli equilibri interni della regione Lombardia, ora rimane da capire anche cosa ne sarà dei medici non vaccinati da reintegrare. Un tema, fonte di discussione tra il presidente Attilio Fontana e l’ormai ex assessore al Welfare Letizia Moratti. A sostituirla ci sarà Guido Bertolaso, su cui ora Moratti sembra nutrire aspettative: «Auspico sinceramente che, con la determinazione che tutti gli riconosciamo, saprà da subito convincere il presidente Fontana, diversamente da quanto non sia riuscita a fare io, a non reintegrare nelle strutture sanitarie i medici no vax. Posizione peraltro già presa in queste ore da altri governatori regionali». I due hanno già collaborato in uno dei periodi più critici della lotta al Covid in Lombardia, quando lo stesso Bertolaso era stato incaricato di gestire l’emergenza sanitaria sul territorio regionale.
Al 31 ottobre, rileva la Fnomceo, erano dunque 4.004 i medici e odontoiatri sospesi, vale a dire lo 0,85% dei 473.592 iscritti. Di questi, 3.543 i medici (lo 0,82% dei 434.577 totali), 461 gli odontoiatri e 325 i doppi iscritti, che, per la stragrande maggioranza, esercitano come odontoiatri. Andando però a vedere l’età dei sospesi, poco meno della metà, e precisamente il 47% dei 3.543 medici, vale a dire 1.665, hanno più di 68 anni e sono dunque fuori dal Servizio sanitario nazionale.
Sulle tempistiche di reintegro è il presidente della Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) Giovanni Migliore a fornire un periodo orientativo: «Gli Ordini, nella varie Province, stanno facendo i provvedimenti di reintegro dei medici non vaccinati contro il Covid, provvedimenti che verranno comunicati alle aziende sanitarie che, a loro volta, disporranno l’assegnazione del medico o sanitario nei vari reparti. Ci aspettiamo quindi che i reintegri vengano effettuati entro la settimana».
La revoca della sospensione pone anche il tema delle modalità di reintegro per gli operatori allontanati dalla professione. Su questo Migliore chiarisce: «L’assenza di lungo periodo impone al datore di lavoro una verifica delle condizioni di salute del dipendente, per questo tutti gli operatori sanitari no vax sospesi e dipendenti delle strutture del servizio sanitario nazionale, una volta ottenuto dagli ordini professionali il reintegro per l’esercizio della professione, devono prima sottoporsi alla visita di sorveglianza sanitaria da parte del medico del lavoro competente». Dovrà essere il medico del lavoro quindi ad esprimere l’idoneità dell’operatore a lavorare in un determinato reparto, «sulla base della valutazione del rischio», spiega ancora Migliore, «legata a diversi fattori tra cui le condizioni di salute, l’età o il reparto di assegnazione». A quel punto, sulla base del giudizio espresso toccherà alle direzioni sanitarie «decidere a quale reparto assegnare il dipendente». Quello su cui insiste il presidente Fiaso sono anche i numeri del reintegro nelle strutture ospedaliere: «Parliamo di piccole cifre: si tratta di poche unità per ogni ospedale perché la maggior parte dei medici non vaccinati contro il Covid, come evidenziano i dati degli ordini, sono liberi professionisti».