I medici e i sanitari non vaccinati stanno rientrando al lavoro dopo la decisione adottata dal Consiglio dei ministri e contenuta nel primo decreto del governo Meloni. Ma lo stanno facendo in un clima di terrore e in un momento in cui l’eredità di Speranza è ancora molto forte. E così si ritrovano a essere ancora discriminati, ghettizzati, emarginati.
«Ma io con questa cosa devo fare?». “Questa” è Francesca (nome di fantasia), tecnico di laboratorio in una struttura sanitaria pubblica alle porte di Milano. È una dei tanti sanitari sospesi dal lavoro perché non vaccinata. Ha 53 anni e due figli minori, non percepisce lo stipendio da sette mesi. Il 2 novembre si è presentata al suo ospedale: non la volevano far entrare, ha sentito la caposala che parlava così di lei, in corridoio. A raccontare la sua storia e quella di tanti altri è Maddalena Loy su La Verità.
È questa la sorte di alcuni medici sospesi e ora reintegrati: prima lo stigma sociale per la decisione di non vaccinarsi, poi lo stipendio revocato e ora, dopo il reintegro, il mobbing. Era prevedibile con questo il clima di odio che si respira in Italia nei confronti dei cittadini non vaccinati, spesso ispirato dalle stesse istituzioni e autorità scientifiche, oltre che, dai media.
A Francesca è stato detto che non poteva rimanere perché «non c’è l’autorizzazione del responsabile», lei ha puntato i piedi ed è rimasta in laboratorio, ma non l’hanno annotata nel registro presenze. Il suo avvocato Elisa Tognacca (dell’Associazione per la difesa dei diritti dei cittadini Umanità e Ragione), ha mandato una diffida. Giovedì mattina Francesca è ritornata: le hanno detto di «non toccare niente perché non autorizzata». Il peso della diffida si è fatto sentire nel pomeriggio, quando finalmente è arrivata una Pec dall’ospedale con l’invito a presentarsi sul posto di lavoro.
La stessa sorte è toccata ad altri sanitari, tra cui Paola, sospesa nello stesso ospedale di Francesca: «Nell’anno in cui sono stata assente, ci sono stati vari focolai tra il personale, che era tutto vaccinato con tre dosi». Del resto, è da inizio del 2021 che il bollettino Iss riporta migliaia di diagnosi di Sars-CoV-2 tra il personale sanitario plurivaccinato. Ma il governo ha tirato avanti, e ha preteso la vaccinazione anche dai medici guariti, come un atto di fede. L’assioma è stato: se non credi nella vaccinazione, non credi nella scienza, non puoi fare il medico.
L’obbligo vaccinale per i medici in Spagna, Regno Unito, Portogallo, Svizzera, Lussemburgo non c’è. Non c’è nei Paesi scandinavi, ad esempio Danimarca e Svezia. In America, c’è in soli 6 Stati su 50. In Germania c’è ma non viene applicato in Baviera, Assia Turingia. Ma non interessa a nessuno. Mattia per quasi un anno è risultato in busta paga come «assente ingiustificato». Mercoledì si è ripresentato al lavoro: «Cosa ci fai qua?». Non è stato riammesso e gli hanno preannunciato una «visita di idoneità». Dopo la diffida dell’avvocato Tiziana Trevisan (anche lei di Umanità e Ragione), ha ricevuto una Pec nella quale la cooperativa lo ha invitato a sottoporsi a «visita periodica».
La dichiarazione di Schillaci, che ha detto che le strutture sanitarie possono decidere l’interpretazione in autonomia, è la ciliegina sulla torta: autorizza di fatto un aspetto del decreto che presterà il fianco a moltissimi casi di di demansionamento.