Lavoratrice sospesa perché senza vaccino. Ora il giudice dell’Aquila le ha dato ragione, condannando l’impresa al pagamento di 2.500 euro, oltre alla retribuzione arretrata. L’azienda con la pandemia aveva esteso l’obbligo vaccinale ai propri dipendenti all’interno del sistema delle pulizie dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila e all’obbligo di esibizione del Green Pass prima di prendere servizio. Questo ha “determinato la sospensione della lavoratrice, che immediatamente ha contestato tale comportamento”.
Il giudice del lavoro dell’Aquila, Giulio Cruciani, dopo aver esaminato il ricorso della stessa Ugl, assistita dall’avvocato Luca Silvestri, ritenendo illegittima la sospensione, con sentenza 234/2022 ha sanzionato l’azienda al pagamento di 2.500 euro e della retribuzione. Secondo quanto riferisce l’Adnkronos, il giudice nella motivazione premette «che verrà valutata non la legittimità dell’obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2, bensì la legittimità della sospensione dal lavoro per assenza della vaccinazione obbligatoria per alcune categorie di lavoratori o di una certa fascia di età, questo essendo il tema del decidere nel presente giudizio». Inoltre, il giudice ha sottolineato che «deve respingersi con forza la tesi dell’azienda secondo la quale un lavoratore può essere sospeso dal lavoro senza che il datore gli comunichi alcunché».
Dunque, le ragioni della donna sono basate prettamente sulla modalità procedurale utilizzata dall’azienda per escluderla dall’attività lavorativa. «È la stessa parte resistente che sostiene – afferma Cruciani – che in base al disposto dell’art. 4-ter, c. 3, dl. 44/21, l’atto di accertamento dell’inadempimento determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa. Dunque, quantunque la sospensione sia l’effetto immediato del venire in essere di alcuni presupposti, questi devono essere accertati in un procedimento che culmina con un atto e questo ovviamente deve essere comunicato al lavoratore che così potrà conoscere il motivo della sospensione, verificare se l’accertamento è esatto e in caso ritenga impugnarlo. Sotto tale profilo, dunque, la sospensione della lavoratrice è palesemente illegittima per difetto della relativa procedura: un atto ci deve essere e può anche avere effetti retroattivi, ma deve dare conto dell’esistenza dei presupposti che giustificano tali effetti e deve essere comunicato all’interessato affinché conosca il motivo della sospensione».
Il giudice ha scritto una sentenza che assume un valore importantissimo, soprattutto dopo le inesattezze sull’efficacia sterilizzante dei vaccini. Su tutte quella espressa dall’ex premier Mario Draghi, secondo il quale «l’appello a non vaccinarsi è un appello a morire. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire. Non ti vaccini, contagi, lui e lei muoiono». Ebbene, soprattutto quest’ultima, parte del ragionamento di Draghi è stata decisamente stroncata nella citata sentenza. «Non vi è alcuna evidenza scientifica che abbia dimostrato che il vaccinato, con i prodotti attualmente in commercio, non si contagi e non contagi a sua volta. La comune esperienza di tutti (personale, familiare, della cerchia di conoscenti) conferma il dato evidente che, allo stato, chi non si è vaccinato può infettarsi e infettare come può infettarsi e infettare chi ha ricevuto una dose, due dosi etc. Evidenza scientifica e comune esperienza fanno assurgere tale dato nel contesto attuale – contagiosità dei vaccinati come dei non vaccinati – a fatto notorio ai sensi dell’art. 115, c.p.c.. Allora è evidente che venuto meno il presupposto per il quale alcuni lavoratori possono entrare nei luoghi di lavoro ed altri no, la sospensione della ricorrente, giustificata dal fatto che non sia vaccinata, è del tutto priva di fondamento. Per completezza si osserva che un eventuale atto amministrativo che imponesse una siffatta discriminazione, che per quanto detto non è prevista dalla norma primaria, sarebbe contra legem e andrebbe disapplicato».
Pertanto, la medesima azienda è stata condannata al pagamento di 2.500 euro, oltre a versare l’intera retribuzione arretrata. A tale proposito sarebbe interessante sapere se simili iniziative a tutela dei lavoratori sospesi perché renitenti al vaccino siano state intraprese da altri sindacati, come Cgil, Cisl e Uil, i quali sembra invece che durante la pandemia invocavano misure ancor più draconiane per tutelare i lavoratori italiani. Lavoratori in attività la cui relativamente bassa età media li esponeva a rischi piuttosto bassi, se non infimi, nel caso di contrarre il Covid-19.
In ultima analisi, la sentenza a L’Aquila apre una ulteriore breccia nel castello di menzogne che hanno accompagnato gli ultimi due anni. Una sentenza che rende ancor più evidente la necessità di istituire quella famosa commissione d’inchiesta sulla gestione pandemica che da qualche tempo risulta scomparsa dai radar del pubblico dibattito.