Sanremo è la nostra Mecca. Tutti almeno una volta l’anno accendono quel soprammobile chiamato televisore per guardare il Festival della canzone italiana. Più che un festival è una festa nazionalpopolare che dura ben cinque giorni, con cinquanta di preparazione intensa e trecento di commenti e polemiche. Sanremo è la capitale morale d’Italia, il luogo da cui si lanciano appelli e fiori, messaggi e trend, regole universali e transgeniche di condotta. Amadeus è diventato la divinità della televisione italiana, legge missive di pace, interpreta pure Zelensky e nei ritagli di tempo fa anche il presentatore. Big delle canzone italiana, band internazionali, donne dello spettacolo e sportive: tutti fanno tappa a Sanremo. E per la prima volta anche un presidente della Repubblica è stato in pellegrinaggio a Sanremo.
A Sanremo, nei testi delle canzoni, nella messa in scena delle esibizioni, nella scelta degli ospiti e dei comici, i temi della differenza, del limite, del corpo e dei suoi attraversamenti, non hanno mai smesso di occupare il palco: le spinte integrative sono venute alla ribalta, incarnate dalla fluidità di tanti artisti che mai come quest’anno hanno scelto di esprimerla, quasi a farne una bandiera. Il tema del riconoscimento reciproco tra soggetti di qualunque “genere”, razza e livello culturale è tornato in continuazione al festival dei fiori, dove i mazzi sono stati consegnati sia agli artisti maschi, sia alle femmine. È molto più facile consegnare un mazzo di fiori a un uomo che non pareggiare gli stipendi delle donne a quelle degli uomini.
A Sanremo le ideologie agiscono da sedativo. L’intervento di Roberto Benigni, che ha celebrato la Costituzione italiana definita “la migliore del mondo”, ha cancellato dalla memoria dei telespettatori di Rai Uno quelle norme illegittime approvate nella fase acuta dell’emergenza Covid. Come dimenticare in proposito la continua violazione dell’articolo 77, della Carta fondamentale del nostro Paese, a causa dell’approvazione dei Dpcm, ovvero di provvedimenti, di natura amministrativa e quindi di portata limitata, situati in una posizione gerarchica, all’interno del diritto italiano, inferiore rispetto agli atti aventi forza di legge.
Non dimentichiamo poi la lettura da parte del conduttore Amadeus, del comunicato del leader ucraino Volodymyr Zelensky, allo scopo di convincere l’opinione pubblica della necessità di continuare a inviare armi violando, di fatto, l’articolo 11 della Costituzione che evidenzia il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie. Roma continua infatti a spedire mezzi bellici a Kiev, giustificati con la necessità di difendere un Paese che non è membro della Nato, pur essendo trattato, dall’Occidente, come tale.
Ma il punto è un altro: si vuole convincere il popolo italiano che la guerra non è più un tabù ma qualcosa di inevitabile ed anche necessario. Quale palco più idoneo per una operazione di questa portata? Sanremo è visto da tutte le fasce della popolazione, compreso i giovani e i bambini. Così, nella cornice di un evento culturale si vuole insinuare l’ideologia che la guerra è qualcosa di giusto e addirittura l’unica strada verso la pace. Ormai da un anno ci stanno “abituando” alla guerra, cioè alla cosa più atroce della storia dell’umanità, per farcela sentire come qualcosa di “normale”, cercando di produrre consenso e di spegnere il dissenso. Ed ora c’è bisogno di giustificare un maggiore impiego di risorse non solo economiche ma anche umane. Con le parole di Zelensky sul palco dell’Ariston la Rai conferma il suo ruolo attivo nella propaganda di guerra, sottraendosi al proprio compito di servizio pubblico. Ma alla fine sono solo canzonette.