Malattie allergiche come rinite, congiuntivite e asma sono condizioni piuttosto comuni che possono avere un impatto significativo su chi ne soffre. Diversi studi hanno dimostrato che le cause sono spesso riconducibili a fattori ambientali, dove si sospetta che l’inquinamento atmosferico giochi un ruolo fondamentale, contribuendo all’aumento delle persone affette da allergia. Ne abbiamo parlato con il dottor Fabio Di Claudio, specialista in Allergologia e Immunologia presso il Centro Medico San Marco di Milano.
In che modo l’inquinamento favorisce l’insorgenza delle allergie?
«Il surriscaldamento del pianeta ha anticipato il periodo di fioritura delle piante rispetto all’arrivo della primavera. Da questo dipende il fatto che i pollini si concentrano nell’aria per un arco di tempo ben più ampio: è quasi scontato che l’incidenza delle allergie sia maggiore. Nei luoghi in cui la qualità dell’aria è peggiore, d’altra parte, i numeri delle allergie sono più elevati. Più alte sono le temperature, maggiore è la quantità di ozono che si sviluppa nell’aria. Parliamo di una molecola non allergizzante, ma che è in grado di irritare l’apparato respiratorio. E, dunque, di accentuare i sintomi respiratori di un’allergia primaverile. A partire dall’asma, rilevabile in quasi il 40% delle persone che ne soffrono: da sola o associata alle altre manifestazioni (starnuti, ostruzione nasale, prurito, rinorrea e congiuntivite). A ciò occorre aggiungere anche l’inquinamento veicolare .I particolati (Pm 2,5, Pm 1 e soprattutto Pm10) possono fungere da «vettore» per i pollini: in pratica le molecole allergeniche si legano alla superficie del particolato che poi le trasporta anche a distanze considerevoli rispetto al luogo dove erano state liberate. L’azione dello smog si combina così con quella degli allergeni peggiorandone le conseguenze e causando congiuntivite, raffreddori frequenti e prolungati nel tempo, ma anche asma e disturbi respiratori».
Quali sono le cause delle allergie?
«Lo sviluppo delle malattie allergiche è il risultato della combinazione di fattori ereditari, che predispongono a tali patologie, e fattori ambientali. Nei soggetti allergici il sistema immunitario riconosce come dannosa una sostanza innocua per altri. Questa reazione “anomala” porta alla produzione di specifici anticorpi (le immunoglobuline E, note anche come IgE) che a loro volta stimolano alcune cellule del sistema immunitario (i mastociti) a liberare l’istamina, una sostanza che favorisce l’infiammazione e danneggia le mucose e gli organi come naso, occhi, bronchi e pelle. Alla base delle malattie allergiche c’è innanzitutto la predisposizione genetica che, però, è modulata dall’ambiente in cui si vive. Se un individuo predisposto geneticamente vive in un ambiente in cui il contatto con sostanze estranee potenzialmente in grado di indurre l’allergia è scarso, il rischio che queste sostanze riescano a scatenare l’allergia è molto basso. Se viceversa il contatto con tali sostanze è elevato, le probabilità di una reazione allergica aumentano. Ma non stiamo parlando solo degli allergeni veri e propri, cioè delle proteine verso le quali è rivolta la reazione allergica (ad esempio pollini, acari della polvere, pelo di animali): esistono altri fattori in grado di scatenare allergie in quanto capaci di modulare la predisposizione genetica».
Negli anni Sessanta le allergie colpivano il 5% della popolazione, nel 2025 si stima arriveranno al 50%. Perché?
«Le cause sono molteplici. Le più diffuse sono l’inquinamento ambientale, lo smog, la ridotta aerazione degli ambienti chiusi e l’aumento della temperatura globale. A loro si dovrebbe la maggiore diffusione delle allergie respiratorie e di sintomi come rinite e asma. La presenza di inquinanti nell’aria rappresenta un significativo fattore di rischio. A questo si aggiungono i cambiamenti climatici, che hanno portato ad una maggiore diffusione delle piante potenzialmente allergiche, e ad un prolungamento del loro periodo di fioritura. A questi fattori sembra si debba aggiungere anche il ruolo potenzialmente favorente dell’aumento dell’igiene. Secondo questa ipotesi, il cambiamento radicale nell’esposizione ai microrganismi legato all’igiene sempre più diffusa, avrebbe un impatto sull’azione del sistema immunitario e potrebbe essere responsabile, almeno in parte, dell’aumento delle malattie allergiche, soprattutto nei Paesi dove le condizioni di vita sono migliori e quindi è ridotta l’esposizione ai germi. Infatti una stimolazione continua da parte di batteri, virus ed elminti è fondamentale per l’attivazione di determinati meccanismi immunologici. Solo con una corretta diagnosi si può capire cosa provochi i sintomi. Non sono pochi i soggetti che hanno convissuto per anni con malattie allergiche senza esserne consapevoli. Il primo passo verso la diagnosi di allergia è sempre il consulto di uno specialista allergologo che cercherà di capire, durante il colloquio, i sintomi della reazione allergica, la loro intensità, la loro frequenza, ma anche in quali occasioni essi si presentano, indagando la vita familiare del paziente, la presenza eventuale di animali domestici in casa, lo stile di vita. Il passo successivo consiste nella conferma della condizione allergica e nella ricerca dell’allergene responsabile dei sintomi».
Quando è necessario rivolgersi allo specialista?
«I sintomi principali che permettono di riconoscere un’allergia sono: naso che cola; starnuti; prurito al naso, agli occhi, alla gola; lacrimazione, prurito cutaneo ed eczema; tosse, dispnea e respiro sibilante; costrizione toracica (senso di peso sul petto). È importante rivolgersi all’allergologo in presenza di sintomi respiratori e/o cutanei che compaiono più volte durante l’anno o quando i farmaci assunti sono del tutto inefficaci nel trattare i sintomi che impediscono alla persona di svolgere anche le più semplici attività quotidiane».
Come avviene una visita allergologica?
«Il paziente viene accolto dallo specialista che dopo aver raccolto il maggior numero di informazioni sulla sua storia personale e sul suo stile di vita (anamnesi), lo sottoporrà ad alcuni test. I due tipi di esami che solitamente vengono condotti per verificare l’esistenza di un’allergia sono i test cutanei e gli esami del sangue. Lo skin prick test si esegue posizionando alcune gocce di allergene sulla cute dell’avambraccio che, successivamente, viene scalfita con una lancetta monouso per favorire la penetrazione dell’allergene nella cute. Se il test è positivo, nel giro di alcuni minuti compare un piccolo rigonfiamento pruriginoso nel punto in cui è stato applicato l’allergene. Il Rast test (RadioAllergoSorbent Test, cioè test radioallergoassorbente) ricerca, invece, la quantità di IgE nel sangue: la presenza di immunoglobuline E specifiche per uno o più allergeni conferma la sensibilizzazione verso tali sostanze».