Nulla è cambiato. In merito all’abolizione dell’obbligo di mascherine in alcuni reparti degli ospedali la montagna delle buone intenzioni del ministro Schillaci è crollata. Secondo la nuova ordinanza, entrata in vigore il 1° maggio, l’obbligo di mascherine resta nelle Rsa, nei reparti ospedalieri di malattie infettive e nei pronto soccorso. I pazienti, ospiti e personale sanitario non fanno altro che alzare e abbassare lo strumento di protezione, a seconda dell’ambiente in cui si trovano, senza ovviamente curarsi della continua contaminazione della mascherina.
Niente mascherine nei bar, in mensa e nelle sale di stazionamento degli ospedali Nelle zone in cui non è più obbligatorio l’utilizzo, l’idea è di lasciare una raccomandazione all’uso del dispositivo di protezione se sono presenti anziani, pazienti fragili e immunodepressi, ma in ultima analisi tale decisione spetta ai direttori sanitari degli ospedali, ai direttori medici delle strutture territoriali e ai medici di famiglia e pediatri, nei loro studi e nelle sale d’attesa.
Tuttavia, come riporta il Quotidianosanità.it, in Italia sono ben poche le direzioni sanitarie che hanno avuto il coraggio di seguire alla lettera le indicazioni del ministro Schillaci. Le strutture sanitarie da Nord a Sud stanno applicando l’ordinanza, ma sono molte quelle che stanno adottando un approccio più restrittivo. Negli ambulatori dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta, il ricorso alla mascherina continua ad essere considerato un baluardo di difesa al quale è meglio non rinunciare. E il Veneto ha deciso di prolungare l’obbligo fino alla fine di maggio. Viene anche citato un lungo elenco di ospedali, tra cui il Policlinico Umberto I di Roma e il Cardarelli di Napoli, in cui nulla è cambiato. In particolare nell’Umberto I una specifica circolare della direzione, successiva alle disposizioni del Ministero, prevede «l’obbligo di uso della mascherina in tutti i servizi di assistenza, dal pronto soccorso, ai reparti di degenza e gli ambulatori. Le mascherine non sono più obbligatorie solo nei corridoi, nelle sale d’aspetto, negli uffici amministrativi e negli ambienti come bar e mense»
Questa situazione è legata alla cronica incapacità, incarnata dall’attuale ministro della Salute, di assumersi la responsabilità di una qualunque decisione che possa incontrare un forte dissenso in alcune particolari categorie, in questo caso i virologi e i nostalgici del Covid. In secondo luogo, con la scusa di meglio tutelare la salute di chiunque si trovi all’interno del proprio ospedale, i vari responsabili colgono l’occasione per assumere il ruolo di improvvisati sceriffi sanitari.
Finita l’emergenza, non decadono le restrizioni. Siamo tra i pochi Paesi a nasconderci dietro un feticcio che viene contrabbandato come uno strumento sanitario salvavita. D’altro canto, finché si continueranno ad imporre misure restrittive, seppur molto limitate, buona parte della popolazione verrà indotta a credere che il virus è ancora presente nella società con tutto il suo carico di potenziali devastazioni.