Sono i primi di maggio. I primi caldi. Leggo Andrea Rompianesi. Non conoscevo questo scrittore. Fin dalle prime righe apprezzo, però, la sua capacità di entrare a fondo nelle cose, di immergersi nei loro dettagli, di evocarle senza cadere mai in un descrittivismo fine a sé stesso. Con mano sicura la voce narrante tratteggia il buio impalpabile e leggero della notte ‘aperto alla consolazione del mare immobile’.
Ci porta in un mondo di battiti lenti, di ‘piccole onde sulle rocce’; con una capacità plastica da film rappresenta una strada in pendenza che collega il centro di un paese, un sentiero che confina con il mare. A poco a poco sulla pagina affiora la bellezza palpitante della natura ma anche un’inquietudine dominata dal rigore della forma. È come se l’autore la controllasse attraverso l’arte del racconto, sdoppiandosi in un alter ego che raggiunge il cancello di un hotel, che si fa ombra, non personaggio, e ferma il suo sguardo su un ‘coro confuso di voci’, un tintinnare di colori; un’altra figura dopo poco compare, anch’egli un simulacro, che si manifesta solo attraverso i suoi gesti, i passi lenti, le sigarette accese, gli occhiali da vista sportivi di ‘disegno raffinato’. Si muove come l’altro che è con una donna in una sorta di teatro orchestrato apposta che esiste e non esiste: non è però una banale finzione ma proiezione, visione di qualcosa di più profondo, che si riesce a malapena a definire e a cogliere.
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Il protagonista, la voce narrante, in queste figure riconosce un amico, che si avvicina per sedere al loro tavolo ‘ingombro di bicchieri’, simile a Jack Nicholson. Siedono in tre: c’è una lei che osserva i musicisti, ‘una ringhiera bianca che impedisce la caduta a mare’, un vecchio cantante. Come un pittore abbozza quadri disegnandone a volte i contorni, a volte invece con macchie di colore ben definite evoca sensazioni e impressioni. Registra con precisione filmica quanto accade attorno a lui: il sosia di Jack che fuma, orde indefinite di personaggi che bevono, vassoi che ‘saettano tra i riflessi delle luci’.C’è una immersione in una festa, quasi a voler dimenticare e rimuovere per un istante un male più profondo.
Il mare, il paesaggio, le cose, non vivono fuori del soggetto, dalla voce che narra, racconta, poeticamente evoca. Esistono in lui, si fanno forma per raccontare un’altra esperienza, una ricerca di senso, filosofica, cioè un tentativo non di fuga ma di ‘tregua’ dal dolore, un’esperienza di vita basata sulla capacità di accogliere la solitudine, sulla speranza di ‘essere ancora insieme’ nonostante il trascorrere del tempo.
Ogni pagina di questo libro di Rompianesi è un assolo e allo stesso tempo una tessera di un insieme ben orchestrato. Non è però uno scrigno di memorie né di emozioni estemporanee, anche se la scrittura conserva la traccia di sensazioni vive, epidermiche fissate attraverso il filtro della memoria e della scrittura: le ore trascorse, la distesa dei tavoli, l’amico che parte con ‘lo sguardo verso il silenzio della notte’, agosto che si accinge a finire, a cedere il posto ai saluti.
Da pagina 21, dopo l’epifania del mare come tregua (p. 17), comincia la narrazione di fatti avvenuti precedentemente. Lo sguardo del narratore inquadra una massa informe di gente, di vacanzieri, incuranti di una ricerca di senso: sono i loro gesti a definirli (occhi inconsapevoli dietro lenti da sole, clienti indolenti e distratti, giovani occupati a muovere freneticamente dita su piccoli schermi portatili, giornate iniziate all’insegna dell’inutilità più assoluta, coppie di amanti con ruoli ben definiti, ecc.). In questo non senso c’è però la verità del sole, simbolo di qualcosa di autentico, che gioca con l’acqua. Restano lui e lei: lui è la voce che narra, pensa, medita; lei è la donna che lo accompagna. Seguono (p. 23) nella ‘biforcazione del presto mattino’ (bellissima immagine) due strade diverse: lei va verso il grande solarium con lettini e ombrelloni, lui a destra verso il centro del paese. La sua è una sorta di fuga dalla ‘monotonia rassicurante delle soste marine’. È alla ricerca di alterità (p. 25), di qualcosa che lo porti a compiere un proprio viaggio personale, di luoghi non prevedibili (un albergo abbandonato, lo stabilimento balneare, da cui giunge una musica caraibica, un cortile antistante una chiesetta, un angusto sottopasso, una ‘strada abitata da poche presenze’, anziani sulla panchina, fila interminabili di aranci, ecc.).
Da qui la speranza (p. 41) che ci sarà un momento in cui ‘saremo tutti all’inizio, di nuovo, dove tutto è cominciato’, un ricongiungimento con i frammenti del nostro destino. Nello svolgersi del cammino forse c’è una ‘trama incompiuta ma già pensata’. Siamo nel tempo ma c’è anche altro; a suggerirlo è la nostra stessa razionalità (p. 47-8). In questa consapevolezza che ‘c’è altro’ credo sia il valore di questo libro, che in un mondo sempre più disumano e ipertecnologico, si interroga e interroga tutti noi sul senso dell’esistenza.