Quasi fosse come un tormentone estivo, torna sulle pagine dei giornali, la questione dell’immigrazione clandestina. Proprio di tormento si può parlare, perché non c’è governo degli ultimi tre decenni che non si sia trovato ad affrontare il tema. Da inizio anno ad oggi si sono già registrati oltre 100mila arrivi e il sistema di prima accoglienza del nostro Paese è quasi in tilt.
Quello che sta accadendo a Porto Empedocle, in Sicilia, è emblematico. Lì transitano i migranti arrivati a Lampedusa: circa cinquecento, a volte anche mille, persone al giorno. Tutto questo preoccupa la popolazione locale e anche l’intero settore turistico. Ci sono stati infatti anche dei momenti di tensione e di scontro sociale per l’elevato numero di sbarchi in questa prima parte di 2023. Come racconta La Stampa, la stessa cosa potrebbe ripetersi in altre città nelle prossime settimane. In una circolare del 7 agosto scorso il ministero dell’Interno ha invitato i prefetti a liberare i posti nei centri per assicurare un ricambio, facendo uscire chi ha già ottenuto lo status di rifugiato, anche se non ancora in possesso di un titolo di soggiorno o di un posto in un’altra struttura.
Per il governo Meloni si prospetta nei prossimi mesi del 2023 una partita sul fronte migranti tutta in salita. Ma che fine hanno fatto le procedure accelerate per i migranti contenute nel “decreto Cutro”? Sono passati tre mesi da quando il decreto è stato convertito in legge, a seguito del grave naufragio di migranti avvenuto al largo delle coste di Steccato di Cutro, in Calabria, a febbraio. Il decreto, tanto pubblicizzato dal governo quanto criticato dalle opposizioni, prevedeva soprattutto una riduzione delle misure di accoglienza per le persone che cercano di arrivare in Italia irregolarmente via mare, nel tentativo di scoraggiare nuove partenze.
Uno dei punti principali del decreto era la creazione di appositi centri che avrebbero dovuto permettere un esame “accelerato” delle domande di asilo delle persone migranti provenienti da paesi considerati “sicuri”, quindi dove il governo ritiene vengano rispettati l’ordinamento democratico e i diritti della popolazione. Come riporta Il Post, la definizione di paese “sicuro” è contenuta in una direttiva europea del 2013: oggi il ministero dell’Interno italiano considera “sicuri” 16 paesi.
In pratica, le persone migranti provenienti da paesi “sicuri” non avrebbero dovuto fare lo stesso percorso di tutti gli altri. Una volta identificati nei cosiddetti “hotspot“, non sarebbero stati inseriti nel normale sistema di accoglienza ma trasferiti in questi centri appositi in stato di detenzione amministrativa, in attesa della risposta alla propria richiesta di protezione internazionale. Se la richiesta fosse stata accolta, il migrante sarebbe stato trasferito in un centro di accoglienza; se respinta, sarebbe iniziata la procedura di espulsione e rimpatrio.
Per il governo, comunque, il problema principale all’applicazione di questa misura oggi è la mancanza di strutture che dovrebbero ospitare i migranti inseriti nella procedura accelerata. A inizio luglio, nel corso di una visita a Lampedusa, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva detto che il primo centro sarebbe stato pronto in circa un mese, senza però specificare il luogo: ad oggi non ci sono ancora conferme dell’inizio dei lavori di realizzazione, ma soprattutto non si conosce ancora il luogo dove dovrebbe sorgere.
Anche se dovesse essere realizzato il primo centro rimarrebbero difficoltà concrete nell’applicazione della misura, per il solito problema che i governi italiani devono affrontare quando suggeriscono di aumentare i rimpatri di persone migranti: che l’Italia ha pochissimi accordi bilaterali con i paesi di provenienza dei migranti riguardanti le procedure di espulsione, il cui numero continua a rimanere molto basso. Inoltre dal 2011 i migranti che lo stato vuole espellere non vengono più riaccompagnati forzatamente alla frontiera, ma viene dato loro un periodo di tempo entro cui lasciare l’Italia. Il sistema degli allontanamenti volontari, introdotto per questioni di forze e risorse, ha reso ancora più inefficace l’azione italiana in tema di espulsioni.