Si va verso la richiesta di «pause umanitarie» nelle conclusioni del Consiglio europeo, dopo un lungo negoziato tra i 27 Stati membri. «Il Consiglio europeo – si legge nell’ultima bozza circolata – esprime la massima preoccupazione per il deterioramento della situazione umanitaria a Gaza e chiede un accesso umanitario continuo, rapido, sicuro e senza ostacoli e che gli aiuti raggiungano chi ne ha bisogno attraverso tutte le misure necessarie, compresi i corridoi e le pause umanitarie». Le pause dovrebbero permettere di far entrare nuovi aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, dove da più di due settimane Israele impone un «assedio totale» che impedisce l’arrivo di cibo, medicine, carburante ed energia (negli ultimi giorni sono entrati dei convogli di aiuti umanitari dal valico di Rafah, l’unico passaggio che collega Israele alla Striscia, considerati però insufficienti per le esigenze della popolazione).
Il comunicato non è ancora definitivo ma le discussioni sul suo contenuto vanno avanti da giorni, e mostrano le grosse divisioni che si sono create nell’Unione su come reagire alla nuova guerra tra Israele e Hamas. Per giorni, nei negoziati preparatori, ci sono state discussioni intense sulla terminologia da adottare, e quello che sembra essere il compromesso raggiunto, cioè parlare di «pause umanitarie» al plurale, è il frutto di trattative estremamente macchinose. È sparito il riferimento al segretario generale dell’Onu Guterres, che chiedeva un cessate il fuoco, dopo le sue parole sul conflitto.
Secondo vari media, uno degli elementi principali della discussione ha riguardato la differenza tra chiedere una «pausa umanitaria» (al singolare) e delle «pause umanitarie» (al plurale). Alcuni paesi più vicini alle posizioni di Israele ritenevano che una «pausa» (al singolare) avrebbe potuto essere percepita come una richiesta di cessate il fuoco, cioè come una richiesta di interrompere i combattimenti in maniera definitiva, anziché temporanea. Questo avrebbe indebolito il messaggio di sostegno a Israele e al suo diritto di difendersi dopo l’attacco di Hamas.
Dietro allo scontro semantico ci sono posizioni e sensibilità diverse tra i Paesi Ue nei confronti della situazione in Medio Oriente (Germania, Austria, Repubblica ceca e Svezia più attente a non minare il diritto di Israele a difendersi da Hamas, Spagna, Irlanda, Belgio, Portogallo, Lussemburgo, Slovenia più propense a un cessate il fuoco). Alla fine nella bozza di comunicato si è scelto di usare la formula «pause umanitarie» al plurale che implicherebbe uno slittamento di significato, perché non richiederebbe più a Israele di interrompere in blocco i bombardamenti per consentire l’arrivo di aiuti alla popolazione civile della Striscia di Gaza, ma aprirebbe a interruzioni brevi, magari localizzate ad alcune aree e non generalizzate a tutta la Striscia.
Tra i paesi europei più vicini a Israele, e sostenitori delle «pause» al plurale, ci sono la Germania, l’Austria e la Repubblica Ceca. «Una pausa implica che entrambe le parti si fermino e basta, mentre pause è temporaneo. Sono piccoli intervalli da poche ore, per far arrivare gli aiuti». Altri paesi europei, come Spagna, Irlanda e Portogallo, sono invece un po’ più esigenti con Israele e più insistenti sulla necessità di fare arrivare aiuti umanitari alla popolazione palestinese.
Le divisioni tra i membri dell’Unione sulla guerra tra Israele e Hamas vanno avanti dall’inizio del conflitto. Nelle scorse settimane, tra le altre cose, alcuni diplomatici e membri delle istituzioni europee avevano accusato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, di aver adottato un atteggiamento troppo favorevole a Israele. Al contrario il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, aveva detto molto apertamente che la decisione di Israele di imporre un «assedio totale» sulla Striscia di Gaza, tagliando acqua, elettricità e rifornimenti, non era «in linea con la legge internazionale».