Quattro giorni di tregua dai combattimenti, durante la quale ci sarà uno scambio reciproco di ostaggi e prigionieri: Hamas libererà 50 ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza, mentre Israele 150 palestinesi che si trovano nelle carceri israeliane. Durante la tregua saranno fatti entrare anche aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, che Israele assedia e bombarda da settimane come conseguenza degli attacchi di Hamas in territorio israeliano dello scorso 7 ottobre.
Hamas ha fatto sapere che la tregua con Israele entrerà in vigore a partire dalle 10 (le 9 in Italia): lo riferiscono i media israeliani Haaretz e Ynet. Al momento comunque non ci sono state conferme ufficiali da parte di Israele. Quest’ultimo avrebbe già indicato ad Hamas una lista dei circa 100 nomi di prigionieri israeliani. Mentre nell’elenco dei detenuti palestinesi che Tel Aviv dovrebbe rilasciare figurano 300 nomi di donne e di minorenni, fra cui saranno scelti quanti saranno liberati: la stragrande maggioranza, 287, sono uomini di età pari o inferiore a 18 anni, la maggior parte dei quali detenuti per atti di violenza compiuti in Cisgiordania o a Gerusalemme Est, e altri 13 sono donne adulte.
Le negoziazioni tra Israele e Hamas sono state mediate dal Qatar, paese che ha buoni rapporti con entrambe le parti e che nelle scorse settimane aveva già facilitato la liberazione dei primi ostaggi da parte di Hamas e l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia. Al dialogo per l’accordo hanno partecipato anche gli Stati Uniti. Secondo alcuni giornali americani, l’attività diplomatica per liberare almeno parte degli ostaggi è cominciata fin dai giorni successivi all’attacco di Hamas del 7 ottobre. Funzionari del Qatar avrebbero contattato l’amministrazione americana di Joe Biden proponendo di creare un gruppo di lavoro (una “cellula”, come è stata definita) composto da poche persone che da quel momento ha coordinato i negoziati. I negoziati con Hamas, dunque, vanno avanti da settimane: dopo la liberazione dei primi due ostaggi, avvenuta il 23 ottobre, Hamas si era offerta di liberarne altri, in cambio di un’interruzione dei combattimenti. Israele però aveva giudicato l’offerta troppo incerta, perché Hamas non forniva sufficienti prove dello stato di salute degli ostaggi. L’accordo è stato chiuso definitivamente martedì 21 novembre.
Riguardo alla natura dell’accordo Richard Hecht, portavoce dell’esercito israeliano, ha inoltre voluto specificare nel corso di una conferenza stampa un dettaglio terminologico di importante valore: «non è un “cessate il fuoco”, noi abbiamo usato il termine “pausa operativa”». Questa distinzione implica che i bombardamenti israeliani non sono stati interrotti del tutto e potrebbero ricominciare una volta che lo scambio di ostaggi sarà completato.
Ad ogni modo, dal momento della pubblicazione della lista dei detenuti palestinesi da parte di Israele, la popolazione israeliana ha 24 ore di tempo per fare ricorso alla Corte Suprema per provare a bloccarne la liberazione. Secondo i media israeliani è probabile che la Corte Suprema respinga i ricorsi, come successo nel 2011 quando Israele acconsentì a liberare 1027 palestinesi dalle proprie prigioni in cambio del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, che era stato catturato a un posto di blocco nel 2006 da Hamas.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto sapere in un comunicato che i 50 ostaggi liberati da Hamas saranno tutti donne e bambini, e che la tregua dai combattimenti sarà prolungata di un giorno ogni 10 ulteriori ostaggi che Hamas deciderà di liberare. Non ha menzionato la liberazione di altri prigionieri palestinesi nel caso di un prolungamento della tregua. Il governo israeliano ha anche detto che più di metà degli ostaggi che saranno liberati da Hamas sono cittadini stranieri o israeliani con doppio passaporto.
Hamas ha detto in un comunicato che anche i 150 prigionieri palestinesi che libererà Israele saranno donne e bambini. Sempre secondo Hamas la tregua dovrebbe permettere l’ingresso nella Striscia di centinaia di camion di aiuti umanitari, molti di più delle poche decine entrate giornalmente nelle ultime settimane. Oltre a cibo, acqua e medicine tra gli aiuti dovrebbe esserci anche il carburante, fondamentale per la produzione di energia elettrica e quindi per moltissimi servizi di base all’interno della Striscia: finora Israele aveva sempre impedito l’inserimento del carburante fra gli aiuti perché temeva che fosse intercettato e usato da Hamas per scopi militari.