«Siamo tornati al tempo di Gesù. Come allora c’era Erode che uccideva i bambini, la gente non sapeva dove andare, neanche la sacra famiglia aveva casa. Così stiamo vivendo. Con la morte nel cuore». Parla così Fra Rami Asakrieh, il parroco della chiesa cattolica di Betlemme. La città del Natale, è diventata la città del silenzio. Lì dove c’era il vociare dei pellegrini, dei venditori ambulanti, dei negozianti, delle guide: ora non c’è nulla. La piazza della mangiatoia, il centro nevralgico di Betlemme dinanzi alla basilica che racchiude la Grotta dove, secondo la tradizione, più di duemila anni fa è nato Gesù, è vuota. Così come la Basilica della Natività e la chiesa francescana di Santa Caterina.
A fine novembre le autorità locali avevano annunciato che le celebrazioni sarebbero state molto ridimensionate, a causa soprattutto della guerra in corso nella Striscia di Gaza. Betlemme vive principalmente di turismo, e la mancanza di celebrazioni per il Natale sta già avendo ripercussioni importanti sulle attività economiche locali: gli arrivi di turisti e pellegrini sono praticamente fermi; le strade normalmente molto trafficate sono vuote; hotel, ristoranti e negozi insolitamente chiusi.
Lungo Hebron road, la via principale tra Gerusalemme e Betlemme, non c’è una singola decorazione natalizia: restano solo spartitraffico spogli, la sagoma incombente del muro, venticinque check-point e 32 strade sbarrati dall’esercito israeliano. È così dal 7 ottobre quando, in risposta al massacro di Hamas, la Cisgiordania è stata sigillata e i permessi di transito per i 130mila lavoratori in servizio a Israele sono stati cancellati.
Il ministero del Turismo dell’Autorità nazionale palestinese, l’entità governativa che amministra la Cisgiordania, ha stimato che negli ultimi tre mesi del 2023 la mancanza di turisti in Palestina causerà danni economici per 200 milioni di dollari. Molti sono relativi proprio alla città di Betlemme, che è di gran lunga la meta turistica più visitata in Palestina, soprattutto in questo periodo dell’anno.
L’assenza è presente ovunque. In condizioni normali, Betlemme riceve 5mila turisti e pellegrini al giorno. Nel periodo di Natale il triplo o più. Ora sono ventitré: in tutto novembre sono venuti meno di 700, in gran parte dall’Indonesia. «Non è la prima volta che viviamo situazioni anomale. Abbiamo avuto molti conflitti, le Intifada, da ultimo la pandemia. Mai, mai, mai, però, siamo stati tanto sopraffatti da “cancellare” la festa. Non riguarda solo i cristiani che qui rappresentano circa il 18% della popolazione. È parte del Dna di questa cittadina. Tanto piccola – meno di 40mila abitanti – eppure simbolo mondiale del Natale», dice sconsolato Samir Hazboun, portavoce della Camera di commercio cittadina.
È il Natale in tempi di guerra a Betlemme. Le attività commerciali erano già state costrette a fermarsi tra il 2020 e il 2021 a causa della pandemia di Covid-19: dopo una breve ripresa nel 2022, il nuovo calo del turismo dovuto alla guerra nella Striscia di Gaza sarà quindi un colpo particolarmente duro per l’economia locale. Le celebrazioni per il Natale sono state molto ridimensionate anche a Gerusalemme, altra città importantissima per i cristiani, e in Giordania, il paese che ospita la più alta concentrazione di rifugiati palestinesi al mondo.