Saranno depositate negli uffici di regione Lombardia le oltre ottomila firme raccolte dall’Associazione Luca Coscioni per far arrivare in consiglio una proposta di legge sul fine vita, analoga a quella bocciata in Veneto. Il voto della norma, proposta dall’Associazione Coscioni, non ha passato i primi due dei 5 articoli complessivi, che richiedevano il sì della maggioranza assoluta del Consiglio regionale. La discussione e il voto hanno visto la spaccatura del centrodestra, con Fdi e Fi contrari, il presidente Luca Zaia e parte della Lega favorevoli, come le opposizioni.
Il suicidio assistito, la pratica con cui ci si auto-somministra un farmaco letale a determinate condizioni, in Italia è già legale per via di una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, ma ancora non è regolamentata a livello nazionale, nonostante ripetuti inviti della Corte al parlamento per farlo. La proposta non è passata: diversi dei consiglieri regionali che hanno votato contro hanno motivato la propria decisione sostenendo che la regolamentazione sul fine vita non ricada nelle competenze della Regione, ma in quelle dello Stato e del governo. È lo stesso argomento che è stato sollevato anche in altre regioni dove è già stata depositata una proposta di legge regionale simile.
La questione su chi fra Stato e regioni debba occuparsi di alcune specifiche materie riguarda diverse materie che la Costituzione definisce “concorrenti”, su cui Stato e regioni sono chiamati a lavorare insieme: in teoria il primo dovrebbe dettare l’impostazione generale delle leggi, le seconde dettano le regolamentazioni effettive. Questa situazione non del tutto definita ha creato nel tempo diversi contenziosi e controversie, su cui di volta in volta è stato necessario l’intervento della magistratura o della Corte Costituzionale. Tra le materie concorrenti c’è anche la tutela della salute, in cui rientra anche il ricorso al suicidio assistito.
Molti consiglieri veneti hanno sostenuto che la proposta di legge regionale sul suicidio assistito sia incostituzionale, facendo riferimento a un parere inviato lo scorso novembre alla stessa Regione Veneto dall’Avvocatura dello Stato, l’organo che rappresenta e difende lo Stato e le pubbliche amministrazioni italiane. Nel parere, l’Avvocatura parlava di «rilievi di non conformità al quadro costituzionale» proprio a proposito della legge regionale: sosteneva che per il tipo di ambiti, competenze e strumenti che comporta, il suicidio assistito debba essere necessariamente regolamentato dal parlamento nazionale e non dalle singole regioni.
La possibilità per lo Stato di fare una legge sul fine vita esiste da anni: in Veneto come in altre regioni infatti la proposta di legge regionale è stata presentata nel tentativo di rimediare almeno a livello locale a un vuoto normativo che il parlamento nazionale non ha mai risolto, anche per via di un’avversione al tema da parte di alcune aree politiche molto influenti, specialmente quelle più conservatrici e quelle cattoliche. In Italia il suicidio assistito, o morte assistita, è legale non grazie a una legge del parlamento ma grazie alla cosiddetta “sentenza Cappato” della Corte Costituzionale del 2019: arrivò dopo anni di iniziative delle associazioni che si occupano del tema, appelli e infine di disobbedienze civili con cui si chiedeva più libertà sulle scelte individuali di fine vita.
Non essendo una legge, la sentenza stabilisce solo quando il suicidio assistito non è punibile, ma non dà indicazioni chiare su tempi e modalità di attuazione: la Corte ha chiesto al parlamento in più occasioni di intervenire e approvare una norma, finora senza successo. C’è una proposta ferma al Senato (ritenuta da molti comunque decisamente inadeguata), e nel frattempo ogni caso è affidato volta per volta alla gestione delle singole aziende sanitarie locali, con grossi problemi. È proprio per questo che diverse regioni hanno deciso di dotarsi di strumenti per regolamentare la morte assistita in maniera autonoma.