È stato detto che potrebbe trattarsi di shitstorm. La catena di eventi che ha portato alla gogna social di Giovanna Pedretti, conclusasi con il tragico del ritrovamento del cadavere della donna, ha preso il via nella mattinata di giovedì 11 gennaio, quando sulla pagina Facebook della pizzeria Le Vignole gestita dalla 59enne a Sant’Angelo Lodigiano è stato postato lo screenshot di una recensione che conteneva commenti omofobi e offensivi nei confronti delle persone disabili.
La presunta recensione assegnava un voto basso alla pizzeria e chi l’aveva scritta diceva che non ci sarebbe più tornato, sostenendo di non essersi trovato a suo agio a mangiare «di fianco a dei gay» e a «un ragazzo in carrozzina che mangiava con difficoltà». Diceva comunque che «la pizza era eccellente e il dolce ottimo». Un messaggio rispedito al mittente dalla proprietaria del locale, prima elogiata per il gesto e poi travolta dalla gogna per i dubbi di autenticità sollevati sul post, che la donna avrebbe falsificato per strategia di marketing.
Per come era stato pubblicato da Pedretti, lo screenshot della recensione aveva alcuni elementi che inducevano a dubitare della sua veridicità, come ad esempio il font della risposta, molto diverso da quello della recensione e da quello che si vede abitualmente nelle recensioni su Google, da dove sembrava provenire. La recensione inoltre non era disponibile online: Pedretti sosteneva di averla cancellata dopo aver risposto e di aver conservato solo lo screenshot. La giornalista Selvaggia Lucarelli l’aveva definita «un’operazione di marketing spacciata per eroica difesa di gay e disabili». Le incongruenze comunque non avevano impedito alla storia di finire in breve tempo su agenzie di stampa e giornali nazionali, compresi quelli a maggiore diffusione, con interviste alla ristoratrice e gallerie fotografiche della pizzeria. Poi il ritrovamento del corpo di Giovanna Pedretti.
La procura di Lodi ha già sequestrato l’auto e disposto l’autopsia sul corpo della donna, ritrovato lungo le rive del Lambro. Dentro e fuori l’auto della donna, una Panda beige, parcheggiata vicino alla zona in cui i sommozzatori hanno ripescato il cadavere dal fiume, c’erano numerose tracce di sangue. Le indagini al momento sono senza ipotesi di reato. Gli inquirenti disporranno anche approfondimenti tecnici sul telefono e sul computer di Pedretti: sotto la lente ci finiscono pure i commenti negativi ricevuti sui social, per stabilire un eventuale legame tra l’ondata di critiche ricevute e il presunto gesto estremo della donna. Secondo quanto si apprende sabato pomeriggio Pedretti era anche stata sentita dai carabinieri in merito alla vicenda della recensione, la cui veridicità era stata messa in discussione sui social.
In una storia pubblicata dal Corriere della Sera apparsa sul suo profilo Instagram privato, la figlia di Giovanna, commentando un post di Lucarelli, scrive: «L’accanirsi è pericoloso. Grazie cara “signora” per aver massacrato in via mediatica la mia mamma. Cerchi pure la sua prossima vittima». «Nessun odio social e nessuna shitstorm dietro la morte di Giovanna Pedretti», scrive Lorenzo Biagiarelli. «Mi dispiace moltissimo delle morte della signora Giovanna e il mio pensiero va alla sua famiglia». Ma il cuoco e scrittore invita anche «a riflettere sulle conseguenze del tentativo «di ristabilire la verità. Se si dovesse temere sempre questo epilogo a questo punto dovremmo chiudere tutto, giornali e social». E ancora: «Mi dispiace che pensiate che la ricerca della verità possa avere queste conseguenze. Ci tengo a respingere con forza le accuse di ‘odio social’ e shitstorm dal momento che la signora Giovanna, in questi due giorni, non ha ricevuto dalla stampa che lodi e attestazioni di stima, e solo qualche sparuto e faticoso tentativo di ristabilire la verità che, in ogni caso, non ha e non avrebbe mai avuto pari forza».
Con l’espressione shit storm (letteralmente “tempesta di cacca”) si intende quel fenomeno con il quale un numero piuttosto consistente di persone manifesta il proprio dissenso nei confronti di un’altra persona (o di un gruppo), o di una organizzazione o di una azienda. Questa tempesta di insulti e/o commenti denigratori si realizza in rete, generalmente sui social media, sui blog o su altre piattaforme che consentono l’interazione. La particolarità di questa pratica risiede nella ferocità con cui vengono espresse le critiche e la volgarità dei commenti degli utenti.
L’odio genera odio e viene alimentato dall’istantaneità della comunicazione in rete sino ad assumere una portata ingovernabile. Come noto, la comunicazione virtuale è spesso scevra di filtri accompagnata dalla visione distorta che in rete tutto sia concesso, in un contesto totalmente deregolamentato. La disinibizione dinanzi ad una tastiera e il presunto anonimato di cui gode internet generano una pioggia di parole cariche di aggressività e avversione fuori controllo.
Ciò che caratterizza lo shitstorming è la reazione a catena. La modalità con cui si manifesta è graduale: è quando l’attenzione sui giudizi dispregiativi trova eco nei media che si deve correre ai ripari. Come tutte le tempeste, anche quella virtuale crea distruzione. La gogna mediatica compiuta da un numero indefinito di persone può devastare il soggetto colpito, soprattutto in quanto sovente le critiche sforano il tema originario oggetto dello storming con un conseguente ed importante danno di immagine e di reputazione. Tuttavia quando lo shitstorm colpisce un singolo (personaggio famoso ma anche un privato cittadino) le conseguenze possono essere disastrose, anche sul piano psicologico.