La guerra a Gaza finirà con «la distruzione totale di Hamas». Così il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha risposto alla tregua avanzata dal gruppo palestinese. Hamas aveva proposto una tregua di 135 giorni, quattro mesi e mezzo, durante i quali tutti gli ostaggi israeliani avrebbero dovuto essere liberati e le due parti avrebbero dovuto lavorare a un accordo per porre fine alla guerra. Aveva anche chiesto che durante la tregua l’esercito israeliano si ritirasse completamente dalla Striscia di Gaza. «Siamo quasi vicini alla vittoria – ha detto Netanyahu – Se ci arrendiamo ad Hamas non solo non arriveremo al rilascio degli ostaggi, ma ad un secondo massacro. Il giorno dopo la guerra, sarà il giorno dopo Hamas».
Parole che si traducono immediatamente in un atto concreto: il premier israeliano infatti ha dato ordine all’esercito di avanzare verso Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, ad un passo dall’Egitto. Netanyahu ha sostenuto che «solo la pressione militare agisce per la liberazione degli ostaggi. I nostri soldati non sono caduti invano». E ha ribadito che «l’obiettivo è la vittoria totale di Israele». Questa posizione di Netanyahu è ormai da diverse settimane molto contestata da una grossa parte dell’opinione pubblica israeliana, secondo cui il proseguimento dei combattimenti diminuirà nettamente le possibilità che gli ostaggi israeliani detenuti da Hamas restino vivi. È soprattutto la posizione dei familiari degli ostaggi, che negli ultimi tempi hanno organizzato diverse proteste contro Netanyahu e il suo governo.
La proposta di tregua di Hamas era una risposta a un’altra proposta di cessate il fuoco che era stata elaborata durante una serie di negoziati fra rappresentanti diplomatici israeliani, qatarioti, statunitensi ed egiziani. Quell’accordo prevedeva l’inizio di una tregua nella Striscia di Gaza e la liberazione di tutti gli oltre 130 ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas.
Martedì era arrivato l’annuncio del premier del Qatar che aveva parlato di «una risposta positiva» da parte di Hamas rispetto a una possibile intesa con Israele. Ma fonti di Tel Aviv avevano già sottolineato che molte delle richieste della controproposta di Hamas «sono inaccettabili per Israele sotto ogni punto di vista». L’ipotesi quindi era una nuova fase di negoziati per ammorbidire le pretese dei palestinesi. La conferenza stampa di Netanyahu invece chiude, almeno per il momento, ad ogni trattativa per trovare un nuovo accordo.
Secondo un documento che riassume la propostaHamas proponeva che la tregua si dividesse in tre fasi di 45 giorni ciascuna. Durante la prima fase sarebbero state liberate tutte le donne israeliane in ostaggio, i ragazzi con meno di 19 anni e le persone anziane e malate, in cambio di donne e bambini palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. In più, Israele avrebbe dovuto ritirare le truppe dalle aree popolate della Striscia, permettendo l’inizio della ricostruzione degli ospedali e dei campi profughi distrutti dai combattimenti. Fra la prima e la seconda fase, Hamas chiedeva che si tenessero «colloqui indiretti sui requisiti necessari per porre fine alle operazioni militari reciproche e tornare alla calma totale». La seconda fase avrebbe riguardato il rilascio degli uomini ancora in ostaggio, in cambio di 1.500 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, e il ritiro completo di Israele da tutta la Striscia di Gaza. Infine, durante la terza fase Israele e Hamas si sarebbero dovuti scambiare i corpi degli ostaggi e dei soldati uccisi.
Da alcune settimane le trattative per una nuova tregua nelle operazioni militari dell’esercito di Israele nella Striscia di Gaza sono diventate più intense. La prima tregua era durata una settimana, fra il 24 e il 30 novembre scorso, e aveva portato al rilascio da parte di Hamas di 105 ostaggi, di cui 81 israeliani. Israele aveva invece liberato 240 detenuti palestinesi, oltre a permettere l’ingresso di aiuti umanitari in quantità superiore rispetto alle settimane precedenti.