Il Consiglio europeo ha dato il via libera definitivo al pacchetto di riforme legislative che compongono il nuovo Patto Ue su migrazione e asilo, un importante insieme di riforme pensate per modificare in parte il cosiddetto “regolamento di Dublino”, la principale norma europea che regola la gestione di migranti e richiedenti asilo. La riforma era stata già approvata ad aprile dal Parlamento Europeo, ma perché entrasse ufficialmente in vigore mancava ancora il voto del Consiglio.
È la più importante ed estesa riforma degli ultimi anni in materia di immigrazione nell’Unione Europea, ed è frutto di un lungo negoziato durato quattro anni, su cui lo stesso Parlamento e i governi dell’Unione avevano trovato un accordo di massima lo scorso dicembre. La riforma è stata approvata dal Consiglio con i soli voti contrari dei rappresentanti di Ungheria e Polonia. L’Italia, rappresentata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ha votato a favore di tutti i testi legislativi del Patto Ue. Il governo italiano ha espresso apprezzamento per le nuove norme, ritenendo che contribuiranno a una gestione più ordinata ed efficiente dei flussi migratori. Ora i paesi membri hanno due anni di tempo per implementare le regole previste dalla riforma nel proprio ordinamento giuridico.
In sintesi, il patto prevede norme sull’accoglienza più severe soprattutto per le persone migranti che arrivano in Europa dai paesi considerati “sicuri” (secondo criteri controversi stabiliti dagli stessi paesi d’accoglienza): sono le persone che già oggi hanno meno possibilità che la loro richiesta di protezione internazionale sia approvata. Il nuovo patto prevede misure che renderanno più facile espellerle e rimandarle nei loro paesi d’origine.
Negli ultimi anni il regolamento di Dublino era stato al centro di numerose controversie tra paesi europei: è una norma in vigore dal 1997, secondo cui il primo paese in cui una persona migrante arriva è anche quello che si occupa di esaminare la sua richiesta di asilo e dell’accoglienza. La maggior parte dei governi concordava sulla necessità di cambiare le regole, ma per anni non erano riusciti ad accordarsi sul modo in cui farlo.
Per esempio paesi come Italia e Grecia, cioè i principali stati d’ingresso dei richiedenti asilo che arrivano in Europa via mare, chiedevano da tempo l’eliminazione della regola che li rendeva i soli responsabili della registrazione dei migranti all’arrivo, o almeno l’introduzione di meccanismi obbligatori di “redistribuzione” delle persone migranti, di modo da non doversi occupare di tutte le richieste di protezione internazionale. Altri paesi, come quelli dell’Europa orientale, molto più ostili all’immigrazione, si opponevano invece a qualsiasi meccanismo che costringesse loro ad accogliere più persone migranti.
Il nuovo patto introduce un meccanismo limitato di trasferimento dei richiedenti asilo dai paesi di arrivo (quindi principalmente i paesi dell’Europa meridionale, tra cui l’Italia) a quelli interni. La riforma prevede che quando un paese dichiarerà aiuto gli altri stati membri dovranno scegliere se accettare un certo numero di migranti, pagare una quota a un fondo comune dell’Unione Europea oppure fornire supporto operativo, inviando al paese personale o fornendo attrezzature tecniche.
I soldi versati che finiranno in un fondo non verranno solo redistribuiti fra i paesi di frontiera, più esposti ai flussi migratori, ma potranno essere utilizzati per finanziare «azioni nei paesi terzi o in relazione ad essi che hanno un impatto diretto sui flussi migratori verso l’Ue», ossia paesi, come la Libia, da cui i migranti partono per raggiungere l’Europa. Negli ultimi anni l’Unione Europea ha stretto o promosso accordi con questi paesi in modo che le autorità locali li trattengano con la forza sul proprio territorio, molto spesso in condizioni disumane. I paesi che si rifiuteranno di accogliere richiedenti asilo o versare dei contributi potrebbero incorrere in una procedura di infrazione, uno strumento molto comune usato dalla Commissione Europea, l’organo che nell’Unione Europea detiene il potere esecutivo, per far rispettare le regole agli stati membri.