Retromarcia. Giorgia Meloni interviene a porre un freno all’agitazione politica suscitata sul redditometro e annuncia la sospensione del decreto «per ulteriori approfondimenti». In un video diffuso sui social, la presidente del Consiglio spiega le intenzioni del governo. «Nessun Grande Fratello fiscale sarà mai introdotto da Fratelli d’Italia, dal centrodestra e da questo Governo. Noi siamo sempre stati contrari a meccanismi invasivi come il redditometro, applicati a persone oneste. E la nostra posizione non è cambiata», afferma la premier. Tuttavia, sottolinea di aver ereditato quella che definisce «una situazione molto pericolosa», dove non vi è «alcun limite al potere discrezionale dell’amministrazione finanziaria di contestare incongruenze tra il tenore di vita e il reddito dichiarato». Pertanto, prosegue Meloni, da qui nasce la «necessità di emanare un decreto ministeriale che prevedesse precise garanzie per i contribuenti».
Il redditometro è un sistema per determinare il reddito complessivo delle persone fisiche. Il sistema ha l’obiettivo di stanare i “poveri” per il Fisco che invece hanno un elevato tenore di vita, incrociando i dati delle spese con i redditi dichiarati. Repubblica spiega come funziona il meccanismo dell’accertamento: si sommano le spese certe sostenute in un anno, quelle presunte riferite a beni o servizi detenuti dal contribuente, le spese dei famigliari a carico, le spese essenziali per conseguire uno standard di vita «minimamente accettabile» pari alla «soglia di povertà assoluta» calcolata sempre da Istat, gli incrementi di patrimonio, la quota di risparmio formata nell’anno e non usata per consumare o investire.
Se il totale supera del 20% il reddito dichiarato, il contribuente deve giustificarsi davanti all’Agenzia delle entrate perché magari ha ricevuto un’eredità o ha usato risparmi di anni passati o redditi esenti come le borse di studio o ancora redditi tassati con ritenuta alla fonte, come gli interessi sui titoli di Stato. A quel punto comincia il contraddittorio obbligatorio. Nel quale il contribuente deve giustificare di fronte al fisco come fa a tenere quel tenore di vita. Se le prove non sono convincenti, scatta l’accertamento.
Il primo redditometro vide la luce addirittura nel 1973. La prima modifica è arrivata nel 2010 con il governo di Berlusconi. Poi nel luglio 2018 Giuseppe Conte aveva previsto l’aggiornamento dei parametri ogni due anni. Attualmente le voci censite sono 56. Si parla di elementi indicativi di capacità contributiva, ovvero le spese sostenute dal contribuente e la propensione al risparmio. Attualmente, riepiloga il Corriere della Sera, tra questi ci sono: generi alimentari, bevande, abbigliamento e calzature; abitazione; combustibili ed energia; mobili, elettrodomestici e servizi per la casa; sanità; trasporti; comunicazioni; istruzione; tempo libero, cultura e giochi (compresi gli abbonamenti pay tv, iscrizioni a circoli e spese per il mantenimento di cavalli e di animali domestici); altri beni e servizi (dal barbiere agli istituti di bellezza, dalla gioielleria alle borse; dagli alberghi ai ristornati agli assegni al coniuge); investimenti (dai fabbricati ai veicoli, delle azioni ai quadri).
L’accertamento sintetico attraverso il redditometro è ammesso soltanto a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda del 20% rispetto a quello indicato dal contribuente nella dichiarazione. Il fisco punterà sugli scostamenti più ampi tra quanto ricostruito in base alle spese e agli investimenti e a quanto dichiarato. Gli elementi per ricostruire il reddito sono innanzitutto i dati presenti nel sistema informativo dell’Anagrafe Tributaria o comunque nella disponibilità dell’amministrazione finanziaria, come i pagamenti tracciati. Poi c’è l’indagine annuale dell’Istat sulle spese delle famiglie divise per tipologie. Il decreto aggiunge che «l’ammontare delle spese risultante dalle informazioni presenti in anagrafe tributaria o acquisite in sede di contraddittorio col contribuente si considera sempre prevalente rispetto a quello calcolato induttivamente».