Norvegia, Spagna e Irlanda sono gli ultimi Paesi in ordine di tempo: ieri hanno ufficializzato il riconoscimento dello Stato di Palestina, come avevano anticipato lo scorso 22 maggio i primi ministri dei tre paesi, Pedro Sánchez, Simon Harris e Jonas Gahr Støre. Riconoscere uno Stato significa avviare relazioni diplomatiche ufficiali che in genere prevedono lo scambio di ambasciatori o personale diplomatico: nel caso della Palestina tuttavia il riconoscimento internazionale ha un altissimo valore simbolico e politico, soprattutto nel contesto della guerra in corso nella Striscia di Gaza tra Israele e Hamas. Con questa decisione Norvegia, Spagna e Irlanda hanno rotto con la posizione a lungo sostenuta dalle potenze occidentali secondo cui uno Stato palestinese può nascere solo nell’ambito di una pace negoziata con Israele.
Secondo l’Autorità Palestinese 146 dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite al momento riconoscono lo Stato di Palestina. L’elenco comprende gran parte degli stati dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa orientale. autorità palestinesi». Il 15 novembre 1988, durante la prima intifada, il leader palestinese Yasser Arafat proclamò unilateralmente uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale. Fece l’annuncio ad Algeri, durante una riunione del Consiglio nazionale palestinese in esilio, che adottò la soluzione dei due Stati come obiettivo, con Stati israeliani e palestinesi indipendenti l’uno accanto all’altro. Proprio l’Algeria è diventata il primo Paese a riconoscere ufficialmente uno Stato palestinese indipendente. Di lì a poco, decine di altri Paesi, tra cui gran parte del mondo arabo, l’India, la Turchia, gran parte dell’Africa e diversi Paesi dell’Europa centrale e orientale, hanno seguito l’esempio. Altri riconoscimenti sono poi avvenuti tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, in un momento di crisi del processo di pace in Medio Oriente. Una serie di Paesi sudamericani, tra cui Argentina, Brasile e Cile, hanno risposto all’appello dei palestinesi di appoggiare le loro rivendicazioni statali.
Un’altra tappa fondamentale è quella del 2011, quando con i colloqui di pace in stallo, i palestinesi decisero di portare avanti una campagna per la piena adesione all’Onu dello Stato di Palestina. La campagna fallì, ma il 31 ottobre dello stesso anno, con una mossa innovativa, l’agenzia culturale delle Nazioni Unite, l’Unesco, votò per accettare i palestinesi come membri a pieno titolo. Nel novembre 2012, la bandiera palestinese è stata issata per la prima volta alle Nazioni Unite a New York, dopo che l’Assemblea generale ha votato a larga maggioranza per aggiornare lo status dei palestinesi a “Stato osservatore non membro”. Tre anni dopo, anche la Corte penale internazionale ha accettato la Palestina come Stato membro.
In passato anche il Parlamento Europeo aveva approvato una risoluzione in cui diceva di sostenere in linea di principio uno stato palestinese entro i confini del 1967, ma prima di martedì i paesi membri dell’Unione che lo riconoscevano erano nove su 27: Bulgaria, Cipro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria. L’Italia non riconosce lo stato palestinese, ma ha comunque un ufficio consolare a Gerusalemme che «cura le relazioni che il Governo italiano intrattiene con le
Già dopo l’annuncio della settimana scorsa il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz aveva ordinato di richiamare gli ambasciatori in Irlanda, Norvegia e Spagna, sostenendo che Israele non avrebbe trascurato «coloro che mettono in discussione la sua sovranità e mettono in pericolo la sua sicurezza». Katz ha criticato la Spagna, accusandola di essere «complice dell’incitamento al genocidio degli ebrei e di crimini di guerra». In un post condiviso su X, Katz ha scritto che la vice prima ministra spagnola Yolanda Díaz «sostiene l’eliminazione di Israele e l’istituzione di un territorio islamico palestinese terrorista» come la Guida Suprema Ali Khamenei, la più importante figura politica e religiosa dell’Iran, e Yahya Sinwar, il leader di Hamas dentro alla Striscia di Gaza che Israele considera uno dei principali responsabili dell’attacco contro i civili israeliani dello scorso 7 ottobre.