Il presidente dell’Albania Edi Rama ci tiene a far sapere che se i centri per i migranti Shengjin e Gjader sono in ritardo è per colpa dell’Italia. Dovevano essere pronti a maggio, arriveranno a novembre con un aumento notevole dei costi. «La nostra parte non è coinvolta con i piani di lavoro. L’accordo è di cinque anni e tutto il resto è nelle mani della parte italiana», dice al Fatto Quotidiano. «Ho spiegato più di una volta che noi non ci occupiamo di nessun aspetto di questa operazione, tranne offrire gli spazi necessari per farla. Non abbiamo chiesto una lira e non sta a noi chiedere conto sull’operato delle istituzioni italiane».
Lo scorso 7 novembre la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, e il suo omologo albanese, Edi Rama, firmarono un protocollo d’intesa per il “rafforzamento della collaborazione in materia migratoria”. Prevede che l’Italia costruisca e gestisca tre centri per l’accoglienza dei migranti in Albania, a proprie spese e sotto la propria giurisdizione. Il protocollo dura cinque anni, ed è rinnovabile tacitamente, quindi senza bisogno di alcuna comunicazione formale.
L’accordo prevede la costruzione di tre strutture. La prima è un hotspot, ossia un centro per lo sbarco e l’identificazione dei migranti, a Shengjin (nota in italiano come San Giovanni Medua), una città di mare a nord della capitale Tirana. A Gjader, nell’entroterra, dovrebbero essere costruiti un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo, da 880 posti, e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR) da 144 posti. A febbraio, con la legge di ratifica del protocollo, il governo aveva stanziato 31,2 milioni di euro per la realizzazione delle tre strutture. Ad aprile però la cifra fu aumentata a 65 milioni di euro, con un articolo inserito in modo un po’ anomalo nella conversione del decreto-legge sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
All’interno dei CPR di Gjader sarà anche costruito un vero e proprio carcere, con una capienza massima di 20 detenuti, nel caso in cui alcuni migranti trattenuti nei centri dovessero essere messi in custodia cautelare. La realizzazione della struttura costerà 8 milioni, ma uno dei punti più discussi riguarda l’invio in Albania di 46 agenti di polizia penitenziaria: più di due per detenuto, quattro volte la media italiana, che è di un agente ogni 1,96 detenuti.
L’accordo è stato molto criticato per i costi che l’Italia dovrà sostenere per avviare e poi gestire l’intero progetto. Sommando tutte le voci di spesa previste dalla relazione tecnica curata dalla Camera dei deputati e dal Servizio bilancio dello Stato si arriva a circa 610 milioni di euro tra il 2024 e il 2028, mentre un’indagine di Dataroom, del Corriere della Sera, ha calcolato costi complessivi per 653 milioni di euro nello stesso arco di tempo.
Secondo la relazione tecnica, la costruzione dei centri di Shengjin e Gjader dovrebbe costare poco meno di 50 milioni di euro, di cui 20 milioni per i due CPR e 3 milioni per l’hotspot. A questi vanno aggiunti più di 8 milioni di euro per allacciare le strutture alle reti idriche, elettriche e fognarie, e oltre un milione di euro per realizzare 22 aule per le udienze in via telematica.
Oltre alle spese per la vera e propria costruzione dei centri, già piuttosto ingenti, bisogna considerare una serie di costi che potrebbero essere evitati o perlomeno ridotti se le procedure di accoglienza fossero svolte in Italia: tra questi ci sono quelli per il noleggio delle navi che faranno la spola tra le acque internazionali, dove avverranno i soccorsi, l’Italia e l’Albania; le diarie e le assicurazioni sanitarie del personale italiano che lavorerà nei centri; l’attivazione dei collegamenti internet in Albania e la predisposizione di stanze per le udienze.
Tutto verrà svolto da remoto: i migranti rimarranno nei centri di Gjader, mentre avvocati, interpreti, commissari territoriali e giudici saranno in Italia. Per questo è necessario allestire delle stanze nei CPR per permettere lo svolgimento delle udienze, attrezzate con computer, webcam, microfoni e connessione internet. È una soluzione molto criticata dagli attivisti e dagli esperti di diritto internazionale, perché di fatto rende estremamente difficile per un migrante riuscire a spiegare la propria situazione e confrontarsi in modo efficace con un avvocato o con altre organizzazioni che potrebbero aiutarlo.
Nel caso in cui non sia possibile organizzare le udienze o gli incontri da remoto, gli avvocati e gli interpreti potranno andare in Albania «a spese dello Stato», usufruendo di un rimborso spese di massimo 500 euro. La relazione tecnica prevede che queste trasferte costeranno 3,2 milioni di euro nel 2024 e 6,5 milioni di euro per ogni anno dal 2025 al 2028. Inoltre, per agevolare l’esame delle domande di asilo presentate dall’Albania verrà ampliato l’organico della Commissione territoriale di Roma, con l’istituzione di un massimo di cinque nuove sezioni. Questo costerà 2,6 milioni di euro nel 2024, e quasi 4 milioni per ognuno dei quattro anni successivi.
L’accordo prevede inoltre che all’interno dei centri lavorino solo persone assunte in Italia, trasferite temporaneamente in Albania: oltre allo stipendio riceveranno anche una diaria, come previsto in caso di partecipazione a missioni internazionali, e verranno coperti tutti i costi di viaggio, vitto e alloggio ,per un investimento complessivo da più di 250 milioni di euro in cinque anni. Si aggiungono poi i costi delle assicurazioni sanitarie per i dipendenti che lavorano in Albania, che costeranno 900mila euro nel 2024 e poi 1,7 milioni di euro all’anno.