Anno nuovo, vita nuova. Il primo gennaio 1772 di Maria Antonietta si apre con uno smacco per Mesdames. Come ogni Capodanno a Versailles si teneva la cerimonia in occasione della quale le dame presentate facevano la corte alla famiglia Reale. Alla vigilia l’ambasciatore austriaco presso la reggia, il Conte de Mercy, venuto a sapere che anche la favorita di Luigi XV avrebbe adempiuto i propri doveri presso i principi, impiegò tutti i mezzi possibili per convincere la Delfina a non disdegnare l’amante del Re.
Étienne François de Choiseul, già dal 1758 plenipotenziario ministro e fervente partigiano dell’alleanza franco-austriaca, era stato qualche anno prima l’artefice della particolarmente invisa unione tra il Delfino Luigi Augusto e la giovane arciduchessa d’Austria, che incontrò per la prima volta Madame Du Barry alla vigilia delle nozze presso Château de la Muette. La famiglia reale cenava ai limiti del bois de Boulogne tanto amato dal sovrano, quando la Delfina domandò alla propria dama d’onore – la Contessa de Noailles – il ruolo di questa donna così magnificamente ornata e seduta al fianco del Re, che dopo Madame de Pompadour non aveva avuto altre amanti ufficiali.
Avuta nozione circa la funzione ludica della cortigiana, la giovane Maria Antonietta avrebbe ben presto ribattuto che si sarebbe anteposta quale sua rivale. L’aneddoto probabilmente apocrifo nondimeno diede il la alla leggendaria faida che le due donne, pedine nelle mani delle figlie del Re, avevano appena iniziato a condurre. Agli inizi del 1770, la favorita era all’apice della sua bellezza e, andata in sposa al fratello del suo “protettore” di sempre, era stata con il titolo di contessa presentata a corte, dove conduceva al meglio l’arte della sua eleganza negli appartamenti lasciati liberi dal povero Le Bel, morto improvvisamente quell’anno; la Delfina, di contro, era appena quindicenne e si occupava ben poco della toiletteria, venendo schernita dalla rivale per il colore di capelli e per le delusioni coniugali della coppia principesca.
La Du Barry, al secolo Marie Jeanne Bécu e nota anche come Mademoiselle Lange (o meglio l’Ange) dal nome del frate francescano – Frère Ange – con cui si diceva sua madre l’avesse concepita, era nata in Lorena nel 1743 e, cresciuta in un convento di Parigi fino 15 anni, aveva ben presto dovuto arrangiarsi come domestica, parrucchiera, commessa in una boutique, per poi approdare all’arte amatoria sotto il quarantenne tolosano Jean-Baptiste che la presentò al duca di Richelieu. A quel tempo il più anziano Luigi XV sembrava essere ormai stanco di tutto: aveva nel corso del decennio perduto numerosi membri della famiglia – tra cui due figli, due nipoti e la discreta consorte Maria Leczynska – e la malinconia che da sempre lo affliggeva sembrava avere avuto la meglio su di lui. Grazie alla complicità del valletto de Chambre e fedele procacciatore di amanti Le Bel, la Du Barry già nell’aprile ‘69 aveva sfilato sotto al naso del Bien Aimé, che ne rimase immediatamente folgorato.
«È alta, ben fatta, di un biondo incantevole – questa la descrizione del Principe de Ligne al momento dell’introduzione della favorita presso la corte – ha la fronte alta, begli occhi, sopracciglia armoniose, viso ovale, con delle piccole fossette sulle guance che la rendono provocante come nessun’altra; la bocca pronta al riso, la pelle fine, un petto che confonde tutte le altre, suggerendo a molte di sottrarsi a un confronto». Le vere doti dell’Ange vennero, però, svelate al sovrano lontano dagli ori della Galerie des Glaces, bensì tra le più confortevoli mura della camera da letto: stordito com’era dalle prodezze della sua amante, Luigi XV rivelò al duca di Noailles che nessun’altra era mai riuscita a suscitargli sensazioni simili, salvo poi sentirsi rimbeccato dal confidente circa il fatto che «Sua Maestà non era mai stato in un bordello».
Ecco, era questo il vero nodo della questione: la Du Barry non era una delle tante giovani aristocratiche spinte tra le braccia del sovrano, né una borghese – ma pur sempre rispettabile – come la Pompadour; era una vera e propria cortigiana e la sua presenza a corte inammissibile, tanto agli occhi di Choiseul – che sperava di infilare nel letto del Re la sorella, duchessa de Gramont – tanto a quelli dell’intera corte. Ma gli appartamenti occupati da Madame Du Barry durante il quinquennale soggiorno a Versailles riflettono ancora oggi la sua personalità, ma anche il potere che aveva raggiunto.
In una lettera il monarca arrivò persino a redarguire il proprio ministro: contro la favorita, questo persisteva nel condurre una vera guerra psicologica, utilizzando e abusando dei pamphlets, delle canzoni di quei versi grossolani e avvilenti. Il 24 dicembre 1770, Choiseul veniva, attraverso la lettre de cachet, destituito, spogliato degli incarichi e con disonore condannato all’esilio nelle sue terre a Chanteloup. Una vittoria eclatante per la Contessa e i “barrysti” – a partire da Richelieu e da suo nipote il Duca d’Aiguillon – che mortificò Maria Antonietta. Tuttavia la favorita non esitò, a più riprese, a intervenire personalmente presso il Re per addolcire questo esilio dorato e per pagare certi debiti della coppia Choiseul, che conduce un’esistenza sontuosa. Eppure, suo malgrado, Jeanne divenne il punto di riferimento di un’intera fazione e allo stesso tempo bersaglio preferito di tutti coloro che da tempo non condividevano la politica del vecchio sovrano, non più così “Beneamato” né dalla corte né dal suo popolo.
Risucchiata in un turbinio di intrighi, chiacchiere, maldicenze e fazioni, la giovane Delfina sembrò quasi da subito mal tollerare – come scrive alla madre del 9 luglio 1770 – la presenza della “sciocca creatura per la quale il Re ha una così insopportabile debolezza” e fu categorica nell’avvalersi del diritto di parola – secondo il quale un nobile di rango inferiore non poteva rivolgersi per primo a un membro della famiglia reale – nei confronti dell’impaziente amante del Re, ignorata spudoratamente e considerata non meritevole del benché minimo cenno.
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A Maria Teresa era invisa la “corte” che si affolla e gravita intorno alla favorita, che tra ambasciatori e personalità straniere regna come una principessa. Un’avversione che trovava radici non soltanto nei rigidi principi morali cui Maria Antonietta era stata cresciuta presso la corte di Vienna, ma anche nell’ovvia avversione per il clan anti-Choiseul contrario all’alleanza con l’Austria nonché nella serie infinita di pettegolezzi ascoltati negli appartamenti delle Mesdames, che non avevano perso tempo a riportare voci secondo le quali nei salotti della Du Barry si leggevano lettere denigratorie nei confronti di Maria Teresa d’Austria, scritte dal principe di Rohan, all’epoca ambasciatore presso la corte austriaca.
Questa lotta per la parola si tramutò presto in un affare di Stato, poiché il Re – le cui scelte divenivano così indirettamente oggetto di pubblico biasimo nella condotta di un membro della famiglia reale – si spazientì di questa guerra intestina che finì per dividere la famiglia reale. Convocò quindi l’ambasciatore d’Austria Mercy-Argentau, incaricato di far imperativamente ragionare la Delfina. Maria Teresa, in un’insistente corrispondenza da Schönbrunn del 30 Settembre 1771, condannava fermamente la posizione della figlia – la cui situazione coniugale, ancor prima di quella diplomatica, non eccelleva – e paventava la rottura dell’alleanza franco-austriaca.
Fu così che, il primo dell’anno, in occasione della cerimonia delle voci, una raggiante Mme Du Barry fece la sua apparizione negli appartamenti di Maria Antonietta accompagnata dalla duchessa d’Aiguillon e dalla marescialla de Mirepoix. E con la grazia che la contraddistingueva, a seguito delle pressioni, la giovane e testarda Delfina di Francia rivolse la parola alla prima per poi passare davanti alla favorita e, guardandola senza disprezzo e tanto meno affettazione, indirizzò all’amante del Re una frase banale in modo da esser chiaramente ascoltata in mezzo alla folla di cortigiani: «Il y a bien du monde aujourd’hui a Versailles». Con queste poche parole, appena prima che come già accaduto Maria Antonietta se ne ritraesse, si pose fine all’isolamento della Contessa, scongiurando quindi una nuova umiliazione pubblica.
La Delfina si piegava così alle suppliche di Mercy, ai consigli della madre e alla volontà di Luigi XV, del quale era la prima dei sudditi. Sollevata, la favorita esulta in cuor suo, tuttavia la principessa non concede altro tempo alla Contessa e continua la conversazione con la marescialla de Mirepoix e le altre dame. A pranzo Maria Antonietta scorge il Conte de Mercy tra la folla che assiste pubblicamente al suo pasto e, non appena si alza da tavola, gli fa cenno di entrare nei suoi appartamenti. Una volta nella stanza lo prende da parte: «Ho seguito i vostri consigli, ecco monsieur il Delfino che renderà testimonianza della mia condotta» indicando il marito che era nella stanza «ho parlato una volta, ma sono decisa a fermarmi qui e quella donna non sentirà più il suono della mia voce». Il trionfo della Du Barry è totale quando, nella sua dimora a Louvenciennes, riceve la visita del corpo dei Fermiers Generaux, onore che la riconosce come maîtresse en titre. I Fermiers rivolgono alla Contessa un discorso pomposo di cui la favorita capisce poco o nulla e, per coprire di ridicolo i finanzieri, lei a sua volta improvvisa un piccolo discorso che vale il loro in quanto a inutilità.
Le fonti storiche, la corrispondenza pervenutaci e le biografie non sono sufficienti a stabilire quale fondo di verità risieda in questi leggendari racconti, ma pare che in realtà i rapporti tra le due donne si ammorbidirono col passare degli anni, sebbene Maria Antonietta continuò a rifiutare i doni dell’amante del vecchio Re e accolse con sollievo il suo allontanamento dalla corte all’indomani della morte del sovrano nel 1774. Dopo essere stata spedita in convento, Madame Du Barry ottenne da Luigi XVI la grazia di poter ritornare nel suo rifugio di Louveciennes, donatole dal sovrano anni prima insieme con una pensione e ad un numero impressionante di gioielli, oggetti e opere d’arte che adornavano la sua deliziosa dimora a due passi da Parigi.
Qui Jeanne continuò a condurre un’esistenza serena e a ricevere ospiti illustri (persino Giuseppe II durante il suo soggiorno a Versailles si sentì in dovere di renderle omaggio, pur con grande disappunto di sua sorella). La sua condizione privilegiata non le fece però mai dimenticare le origini umili e, per tutta la vita, la Du Barry continuò a fare molta beneficenza, a elargire favori e ad aiutare quanti chiedevamo il suo soccorso e la sua intercessione.
Lo scoppio della Rivoluzione però travolse anche lei. Derubata di molti suoi gioielli, scoprì che questi erano stati rivenduti in Inghilterra e, decisa a recuperare quanto le apparteneva, si recò più volte sul (nemico) suolo inglese, destando i sospetti dei rivoluzionari. Arrestata nel settembre del 1793, dopo essere tornata in Francia per difendere la sua amata Louveciennes posta sotto sequestro dal governo rivoluzionario, venne rinchiusa nella prigione di Sainte Pélagie. Trasferita alla Conciergerie per essere poi processata, fu condannata alla ghigliottina l’8 dicembre dello stesso anno dall’implacabile Fouquier-Tinville.
La joie de vivre dipinta su quel viso benevolo e la bellezza ancora intatta alla soglia dei 50 anni colpirono tutti coloro che erano giunti in Place de la Concorde per assistere alla fine della favorita di Luigi XV. A differenza di molti altri importanti personaggi avviatisi al patibolo prima di lei, nel momento finale le mancò il coraggio: implorò pietà, pianse e gridò cercando la grazia della folla presente creando una grande commozione. La scena pietosa spinse il boia ad accelerare la fine del supplizio ignorando quella che fu la sua estrema richiesta: «Vi prego, monsieur, aspettate ancora un momento».
Oggi i resti della Du Barry, inizialmente sepolti nel Cimitero della Madeleine, riposano probabilmente nelle Catacombe di Parigi. Il suo stile floreale, delicato e già rivolto al gusto neoclassico, così moderno e così simile a quello reso poi famoso da Maria Antonietta, è rimasto impresso in molti dei raffinati oggetti di cui si circondò e nell’arredamento dei suoi sublimi e ricchi appartamenti situati al secondo piano della reggia Versailles, proprio a fianco a quello del re.