Oggi in occasione della Giornata della Poesia scrivo su Dottrina dell’estremo principiante di Mario Luzi. È primavera, si percepisce già la vita che rinasce, e mi piace in questo giorno ritornare su un autore che ho molto amato. È forse proprio il senso della rinascita a portarmi oggi a questa raccolta, dove la natura e l’umano, sono declinati non solo nella loro bellezza e fisicità ma come ‘creato’, e si muovono in un scenario mutevole, segnato da unicità e differenza (p. 7).
Il paesaggio dominante in tutto il libro è quello toscano. Sulla pagina affiora la città di Siena (p 9), e immancabile è l’immagine del fiume, sia nella sua materialità sia in chiave simbolica. L’elemento naturale è sorretto, però, da una continua riflessione sulla vita, da una sensibilità di chiara matrice ‘cristiana’, che porta il poeta a cogliere la creaturalità di quanto viene alla vita ma anche di ciò che ritorna poi nel ‘segno dell’essenza’ (p. 16). Luzi uomo e poeta si sente parte del creato, anche nella sua senilità. Il percorso della sua vita non è solo estetico ma morale: è segnato direi dalla ricerca del bene e del male, da un’immersione nelle cose volta però sempre a un’elevazione verso un altrove e un dove non definito (p. 85):
Quello il lido, quello
l’imbarcadero
da cui prendeva il mare
lui, ancora in erba
verso dove? […]
In Dottrina dell’estremo principiante il poeta ama immergersi nel vento, nella tempesta, nel fogliame. È lì che riesce ad andare oltre il tempo, oltre sé stesso, ad aprirsi nella preghiera a un altro che arriva (p.33). Il suo è uno sguardo che si pone allo stesso livello di ciò che osserva. È sempre curioso, vigile e attento. È rivolto alla sua interiorità ma anche al mondo fuori di lui, all’alito vibrante che viene dal monte, al fiume che fiorisce negli alberi (p. 35). Si ferma sul mondo, sulle sue valli, alle sue aride poggiate, ai macigni arroventati, sulle montagne all’orizzonte ma anche sul mare colto nell’istante del mattino (p.47).
La natura, che affiora dalle pagine di questo libro, non è inanimata; al contrario vive e quella voce si manifesta nella sua varietà. Anche se nel testo prevalgono le immagini diurne qua e là affiorano dei notturni o delle scene serali molto intense. Penso alla sera ventilata che parla al poeta, che gli spira in viso da tutti i gelsomini (p.57) , al lungofiume buio dove un’ombra lo tallona (p. 73), ai suoni che ‘escono dalla notte’ (p.62), al bisbiglio delle ‘acque spesse tra rive disattente e mute’ nella sera (p. 75).
Concludo questa mia breve incursione nella poesia luziana soffermandomi su una figura femminile, un’ispiratrice, che affiora qua e là nel libro o nella definizione di ‘donna gufo’ (p. 149) (da notare che riprende un titolo di una poesia della poetessa Caterina Trombetti) o semplicemente come un ‘tu’ al quale si rivolge. Sembra una presenza secondaria ma non lo è. Sa mettere in moto i sentimenti più profondi del poeta, che ci dona versi struggenti e intensi, capaci di far vibrare l’anima di chi li legge (p. 63):
Non andartene,
non lasciare
l’eclisse di te
nella mia stanza.
Chi ti cerca è il sole,
non ha pietà della tua assenza
il sole, ti trova anche nei luoghi
casuali
dove sei passata,
nei posti che hai lasciato
e in quelli dove sei
inavvertitamente andata
brucia
ed equipara
al nulla tutta quanta
la tua fervida giornata.
Eppure è stata,
è stata,
nessuna ora
sua è vanificata.