La caccia è finita a Barisha, un villaggio a 37 chilometri da Idlib, in Siria. Sulla sua testa pendeva una taglia da 25 milioni di dollari. Il leader dell’Isis Abu Bakr al Baghdadi si è ucciso nel corso di un raid americano. La notizia era stata anticipata dai media Usa e poi confermata da Donald Trump in una conferenza stampa dalla Diplomatic Reception Room della Casa Bianca. «È morto dopo essere fuggito in un vicolo cieco, piangendo e urlando. Una fine da cane. Si è fatto saltare in aria e ha ucciso tre dei suoi figli che erano con lui», ha detto il presidente. Con la formale sconfitta a livello territoriale dello Stato Islamico, mancava solo lui, Abu Bakr al Baghdadi, per chiudere almeno a livello ufficiale i conti con l’organizzazione terroristica.
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Baghdadi, il cui nome era Ibrahim Awwad Ibrahim al Badri, nacque il 28 luglio 1971 nella città irachena di Samarra. Crebbe in una famiglia musulmana sunnita molto religiosa, studiando per diventare insegnante di legge islamica: si laureò all’Università di Baghdad nel 1996 e tre anni dopo conseguì un diploma post laurea in recitazione coranica. Le cose cambiarono però nel 2003, con l’invasione statunitense dell’Iraq e la destituzione del regime di Saddam Hussein, quando Baghdadi si unì alla cosiddetta “insurgency”, una rivolta violenta e costante contro il nuovo governo iracheno sciita e contro i soldati americani presenti nel paese.
Nel 2004 fu catturato dagli americani nella città irachena di Falluja e fu trasferito nella prigione di Camp Bucca, nel sud dell’Iraq, gestita dagli Stati Uniti. Lì conobbe diversi altri leader jihadisti, e dopo la morte del primo capo dell’Isis, Abu Musab al Zarqawi, divenne vice del suo predecessore, Abu Omar al Baghdadi. Quando anche Abu Omar al Baghdadi morì, nel 2010, facendosi esplodere prima di essere catturato dagli americani, il nuovo leader dell’organizzazione divenne Abu Bakr al Baghdadi. Sotto la sua guida, l’Isis si staccò definitivamente da Al Qaida, e conquistò tutti i territori che sarebbero diventati parte del Califfato Islamico.
Al Baghdadi nel 2014 dal pulpito della Grande moschea di al Nuri di Mosul esortò tutti i musulmani a seguirlo. Si presentò come un discendente diretto della tribù Quraysh del profeta Maometto autoproclamandosi califfo del nascente Stato islamico. Al Baghdadi si trasformò presto nel terrorista più ricercato al mondo, conosciuto anche in Occidente per i video delle decapitazioni degli ostaggi occidentali e per i grandi attentati negli Stati Uniti e in Europa, come gli attacchi a Parigi del novembre 2015. Il Washington Post lo ha definito una «presenza oscura» perché si faceva vedere poco in pubblico: nei nove anni in cui fu a capo dell’Isis furono diffusi solo due video che lo mostravano fare discorsi ai suoi sostenitori, quello della moschea di Mosul e uno dello scorso aprile che smentiva le voci che lo avevano dato per l’ennesima volta per morto. Una figura rimasta invisibile per mesi, anni ma che con la sua morte chiude un capitolo della turbolenta storia del Medio Oriente, ma non quella dello Stato Islamico, già pronto a riorganizzarsi in altre forme e in altri modi.