Un totale di 4.700 esuberi nei prossimi 3 anni, con l’organico dell’ex Ilva che passerebbe dai 10.789 occupati del 2019 ai 6.098 del 2023. È questa la condizione posta da ArcelorMittal per restare a Taranto. Dal 2020 la multinazionale dell’acciaio intende licenziare 2900 persone per portare avanti il nuovo piano industriale e un’altra tornata di esuberi – circa 1.800 lavoratori – è prevista nel 2023, quando verrà spento l’altoforno 2 e attivato un forno elettrico in grado di garantire 1,2 milioni di tonnellate di acciaio “pulito”.
Dopo aver rallentato la propria fuga, ArcelorMittal mette sul tavolo del ministero dello Sviluppo Economico, davanti ai sindacati, le proprie richieste per garantire la presenza in Italia. «Non ci sono le condizioni per aprire confronto per un’intesa. Si deve ripartire dall’accordo di un anno fa, con i livelli occupazionali e investimenti indicati dal piano del 2018» è stata la prima reazione dei sindacati che hanno già previsto uno sciopero dei lavoratori ex Ilva e una manifestazione nazionale a Roma il 10 dicembre.
LEGGI ANCHE: Il piano B del governo sull’ex Ilva
«Sono molto deluso, l’azienda non ha fatto i passi avanti attesi», ha detto il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. Al tavolo il ministro avrebbe anche riferito che il governo è al lavoro su un proprio piano per rendere l’impianto più eco-sostenibile. «Tra venerdì e lunedì governo presenterà un suo piano industriale che farà diventare Ilva un esempio di impianto industriale siderurgico, con uso di tecnologie sostenibili, con forni elettrici e altri impianti ecosostenibili per arrivare a una produzione di 8 milioni per tutelare livelli occupazionali».