Si procede per tentativi, almeno per ora. Per curare i pazienti contagiati da coronovirus, non esistendo una cura specifica, si cerca di tenere perlomeno a bada i sintomi, e nei casi più gravi a curare le polmoniti e a dare un supporto respiratorio. Mentre si stanno sperimentando diverse cure, per esempio utilizzando un farmaco che blocca l’infiammazione. Poi ci sono farmaci antivirali come quelli utilizzati per l’ebola e l’Hiv. Sono però sperimentazioni, bisogna attendere un po’ di tempo prima di capire quanto siano realmente efficaci.
In Italia di cure in cantiere ce ne sono parecchie: dagli antivirali Lopinavir/Ritonavir e Remdesivir agli antinfiammatori come il Tocilizumab, sperimentato con successo su alcuni pazienti all’ospedale Cotugno di Napoli. Si tratta di un farmaco utilizzato per l’artrite reumatoide che agisce come antinfiammatorio, quindi, è una terapia non diretta contro il virus in sé, ma contro una delle reazioni che l’organismo mette in atto come meccanismo di difesa nei confronti del virus, cioè la risposta infiammatoria. E l’Agenzia Nazionale del farmaco ha annunciato l’autorizzazione dello studio “Tocivid-19” che valuterà l’efficacia e la sicurezza del tocilizumab nel trattamento della polmonite in corso di Covid-19. Quel farmaco anti-artrite che ha fatto registrare miglioramenti importanti nei pazienti a cui è stato somministrato per la prima volta in Italia a Napoli e prima ancora solo in Cina. Lo studio è promosso dall’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Napoli con l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e l’Irccs di Reggio Emilia, e con la Commissione Tecnico Scientifica di Aifa ed è frutto della collaborazione tra diverse istituzioni pubbliche per valutare l’impatto di questo farmaco (approvato per l’artrite reumatoide) che ha ricevuto segnalazioni di possibili benefici nei malati di coronavirus. Due gli obiettivi: produrre dati scientificamente validi sul trattamento e consentire che l’uso attualmente già diffuso possa avviare un nuovo percorso che consenta di tracciare tutti i trattamenti e valutarne in maniera sistematica l’impatto terapeutico.
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Sono previsti due gruppi di pazienti, ma il trattamento sarà uguale per tutti. Il primo (studio di fase 2) verificherà una ipotesi di riduzione della mortalità a un mese. Saranno trattati 330 pazienti ricoverati per polmonite da Covid-19 che mostrino i primi segni di insufficienza respiratoria o che siano stati intubati entro le ultime 24 ore. Il secondo gruppo (raccolta dati o studio osservazionale) è stato concepito con l’obiettivo di migliorare le modalità di gestione dell’emergenza in corso e includerà i pazienti già intubati da oltre 24 ore e i pazienti che siano già stati trattati prima della registrazione sia intubati che non intubati. Il numero di questi pazienti non è definito a priori poiché deriverà dalla valutazione dei risultati della fase 2 e dall’andamento della pandemia. Allo studio potranno partecipare tutti i centri clinici che ne faranno domanda e verrà gestito dalla piattaforma web del promotore, l’Istituto Pascale di Napoli. Lo studio sarà strettamente monitorato da un comitato di clinici e metodologi indipendenti che potranno verificare l’andamento dei risultati e valutarne la rilevanza.
In Francia si testa invece un farmaco anti-malaria. Dopo essere stato più volte utilizzato come trattamento efficace per combattere le infezioni da Covid-19 in Cina e in Corea, arriva l’annuncio del primo studio europeo sull’efficacia dell’idrossiclorochina utilizzato da anni contro la malaria. Secondo il professor Didier Raoult, direttore dell’Istituto ospedaliero universitario “Méditerranée Infection” di Marsiglia che ha presentato i risultati del primi studio concluso su 24 pazienti sottoposti a trattamento, il 75% dei pazienti trattati con il Plaquenil, uno dei farmaci a base di idrossiclorochina, «dopo sei giorni di trattamento aveva una carica virale negativa», ovvero non aveva più il virus attivo all’interno del proprio corpo. Non solo. L’idrossiclorochina utilizzata in abbinamento all’antibiotico azitromicina, utilizzato normalmente contro la polmonite batterica, ha portato alla guarigione dei pazienti in una settimana, mentre il 90% dei malati che non avevano assunto farmaci era ancora positivo.
Un primo passo per la creazione di un farmaco specifico contro la Covid-19 è invece stato compiuto in Olanda. I ricercatori dell’Università di Utrecht, insieme ad altri dell’Erasmus Medical Center e della società biotecnologica Harbour BioMed, hanno sviluppato un farmaco in grado di inibire il nuovo coronavirus. Il farmaco è un anticorpo monoclonale, specializzato nel riconoscere la proteina che il virus utilizza per aggredire le cellule respiratorie umane. Ma saranno necessari mesi prima che il farmaco sia disponibile, perché dovrà essere sperimentato per avere le risposte su sicurezza ed efficacia. Gli studiosi stavano già lavorando a un anticorpo contro la Sars quando è esplosa l’epidemia di Covid-19 e si sono resi conto che gli anticorpi efficaci contro la prima malattia riuscivano a bloccare anche la seconda. Legandosi alla proteina spike, che si trova sulla superficie del coronavirus, l’anticorpo le impedisce di agganciare le cellule e in questo modo rende impossibile al virus penetrare al loro interno per replicarsi. Per questo motivo i ricercatori sono convinti che l’anticorpo abbia delle potenzialità importanti «per il trattamento e la prevenzione della Covid-19».