E se fosse davvero Mario Draghi il successore di Ursula von der Leyen? A Bruxelles se ne sente parlare da un po’, ma sottovoce. Nessuno lo dice con convinzione perché l’idea che l’ex presidente del Consiglio italiano possa salire al vertice di Palazzo Berlaymont rischia di essere strangolata dalle logiche politiche che guidano le nomine ai vertici delle istituzioni europee. Ma è bastato il suo discorso da curatore del report sulla competitività europea, nel corso del quale ha parlato della necessità di un “cambiamento radicale” dell’Ue, per far crescere le voci su una suo possibile scalata alla Commissione europea.
Mario Draghi interviene alla conferenza europea sui diritti sociali ma già rimette al centro della scena i temi della competitività che la Commissione von der Leyen gli ha chiesto di esplorare. «Nella Ue c’è bisogno di un cambiamento radicale – scandisce l’ex premier italiano – Le nostre regole per gli investimenti sono costruite su un mondo che non c’è più, il mondo pre-Covid, pre-guerra in Ucraina, pre-crisi in Medio Oriente. E ci troviamo in un mondo in cui è tornata la rivalità tra le grandi potenze». Draghi parla dunque della necessità di accelerare sull’integrazione, come puntualmente sottolineato in diversi suoi interventi pubblici nelle sue nuove vesti, arrivando a sferzare: «Se non a 27, tra chi la vuole fare», riferimento alla via della cooperazione rafforzata tra un ristretto numero di Paesi per concludere l’Unione del mercato dei capitali. «Non abbiamo il lusso di poter rinviare le decisioni, per assicurare coerenza tra i diversi strumenti per rilanciare la competitività della ue occorre un nuovo strumento strategico per coordinare le politiche economiche».
Il discorso di Mario Draghi spiazza un po’ tutti. In pochi lo commentano, ma la sensazione diffusa è che sia già il ritorno di un protagonista sulla scena dell’Europa dei prossimi anni. Sono in molti a percepire nelle sue parole la volontà di candidarsi a guida dell’Ue del futuro, magari con il ruolo da presidente della Commissione europea. Nessun commento da Giorgia Meloni che vuole allargare la base parlamentare dei Conservatori.
Tra i più sorprendenti, viste le posizioni oltranziste assunte costantemente nei confronti dell’establishment europeo di cui Draghi fa parte, anche come ex presidente della Banca Centrale Europea, c’è quello del primo ministro ungherese, Viktor Orbán. «Mi piace Draghi. Non so se sarà presidente ma è bravo», ha detto a margine di un evento organizzato dai Conservatori al Parlamento europeo. È arrivato anche l’apprezzzamto di Sandro Gozi. Non un europarlamentare a caso dato che è stato eletto nella lista del presidente francese Emmanuel Macron: «Draghi conferma di essere una personalità in grado di svolgere qualsiasi ruolo apicale nell’Unione europea». Anche Matteo Renzi non usa mezzi termini per scaricare von der Leyen e spingere la candidatura dell’ex premier: «A Bruxelles serve un volto nuovo, basta con von der Leyen. Noi eleggeremo ragionevolmente 5 eurodeputati e io spero di avere un po’ di voce per dire che ci serve un signore in Europa, Mario Draghi, che è più bravo degli altri»
Pensare che basti qualche dichiarazione positiva e qualche elogio per spianare la strada all’ex premier è però un’utopia. La strada per il Berlaymont è tradizionalmente lunga, tortuosa e piena di trappole. Non a caso c’è chi sostiene che tutti questi elogi non siano altro che una corsa a bruciare la candidatura dell’italiano. Lasciando da parte le speculazioni, gli incroci necessari a far sì che Draghi possa ambire alla poltrona più prestigiosa della Commissione sono tanti. Innanzitutto si deve ricordare che la candidata di punta del primo partito europeo, ossia il Ppe, rimane Ursula von der Leyen. Per il secondo mandato l’ex ministra della Difesa tedesca ha abbandonato l’idea di correre per il ruolo di segretario generale della Nato che oggi vede in vantaggio l’olandese Mark Rutte. Quindi non abbandonerà facilmente l’idea di rimanere alla guida della Commissione. A questo punto la partita sarebbe ancora aperta.