L’assemblea del Cnel ha approvato a maggioranza il documento finale sul lavoro povero e salario minimo. Nel documento si valorizza “la via tradizionale” della contrattazione collettiva. Il Cnel (un organo consultivo del parlamento che sta per Commissione Nazionale per l’Economia e il Lavoro) non ha, quindi, approvato la proposta presentata dai cinque esperti, tra quelli nominati dal presidente della Repubblica, sulla sperimentazione della tariffa retributiva minima da affiancare alla contrattazione salariale.
Il presidente del Cnel Renato Brunetta ha spiegato in conferenza stampa che la soluzione al lavoro povero è «contrattazione, contrattazione, contrattazione». Il documento sostiene che il salario minimo «non risolverebbe» la questione del lavoro povero, ma che per garantire dei minimi adeguati è auspicabile un ruolo maggiore per la contrattazione collettiva, ossia del rapporto tra sindacati e le associazioni dei datori di lavoro.
Questa valutazione non è vincolante. Può sembrare un semplice passaggio burocratico, ma in realtà ha un forte significato politico visto che arriva dopo mesi in cui il dibattito sul salario minimo era stato molto acceso e polarizzato tra chi era favore e chi contro. A inizio luglio i principali partiti di opposizione (dal Partito Democratico al Movimento 5 Stelle ad Azione, con l’eccezione di Italia Viva) avevano depositato in parlamento una proposta di legge per l’introduzione di un salario minimo a 9 euro lordi l’ora. I partiti al governo però sono storicamente contrari a un salario minimo stabilito per legge: in quell’occasione il governo aveva dato l’incarico proprio al Cnel di elaborare una proposta ampia per la lotta al lavoro povero entro 60 giorni, in modo che potesse arrivare in tempo per la legge di bilancio.
Ma sull’imparzialità del Cnel su questo tema erano state comunque sollevate alcune polemiche. Innanzitutto per il fatto che l’elaborazione di una proposta sul salario minimo fosse affidata a un organo il cui presidente è Renato Brunetta, uno degli storici ex esponenti di Forza Italia, partito da sempre contrario alla misura. Inoltre, l’esito dello studio era piuttosto prevedibile perché il Cnel, che si occupa di studi in materie economiche e sociali, nel tempo aveva già pubblicato varie analisi sul tema del salario minimo. Quelle recenti arrivavano più o meno tutte alla stessa conclusione: ossia quella che in alternativa al salario minimo fosse preferibile potenziare la contrattazione collettiva e il ruolo dei sindacati.
Il documento del Cnel ha preso come riferimento la direttiva europea sul salario minimo, entrata in vigore nell’autunno del 2022. Il documento cerca di rispondere alla domanda se, in base alla legge europea, l’Italia debba dotarsi di un salario minimo. La legge europea non stabilisce l’obbligo per tutti i paesi di dotarsi di un salario minimo legale, ma semplicemente una serie di criteri e procedure che i paesi dovrebbero seguire per garantire salari adeguati. La direttiva si poggia su due insiemi di regole: il primo serve a garantire salari minimi adeguati e si rivolge ai paesi che hanno un salario minimo per legge, quindi non all’Italia; l’altra promuove la contrattazione collettiva in materia salariale, in particolare in quei paesi in cui la percentuale di lavoratori coperti dalla contrattazione collettiva è inferiore all’80%. Secondo il Cnel sulla base di questi parametri l’Italia non ha bisogno di un salario minimo legale. Era una conclusione comunque già nota da tempo.
Il documento elaborato dalla commissione del Cnel è stato approvato in Assemblea con 39 voti a favore, 15 contrari e 8 astenuti. Il Cnel è composto da 64 consiglieri: 10 esperti, tra cui economisti, sociologi e giuristi (di cui 8 sono nominati dal presidente della Repubblica e 2 dalla presidenza del Consiglio dei ministri); 22 consiglieri sono in rappresentanza dei sindacati per i lavoratori dipendenti, 9 in rappresentanza degli autonomi, 17 in rappresentanza delle associazioni datoriali e 6 del terzo settore. A votare contro sono stati i rappresentanti dei sindacati Cgil, Uile Usb, e cinque esperti tra quelli nominati dal presidente della Repubblica. Questi esperti avevano anche presentato una proposta per introdurre solamente una sperimentazione del salario minimo a partire dai settori più critici, quelli con retribuzioni più basse e ad alto rischio di lavoro povero. Quella di un’introduzione sperimentale è una proposta che fanno da tempo molti esperti, perché consentirebbe di valutare gli effetti di una misura di questo tipo e di fare eventuali correzioni. La proposta dei cinque esperti comunque non è passata.
La proposta delle opposizioni tornerà in parlamento per la discussione il 17 ottobre, dopo che i partiti di maggioranza avevano fatto approvare una sospensione della discussione a inizio agosto. È probabile che dopo la valutazione del Cnel la proposta finirà per non essere approvata.