«Io non starò mai zitta, non mi farete mai tacere», aveva scritto sui social Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta. E così ha fatto. «Ministro dei Trasporti che dubita della colpevolezza di Turetta perché bianco, perché ‘di buona famiglia’. Anche questa è violenza, violenza di Stato», ha scritto Elena in una storia su Instagram commentando un post del ministro Salvini in cui quest’ultimo si riferiva all’arresto di Turetta scrivendo: «Bene. Se colpevole, nessuno sconto di pena e carcere a vita».
Bene. Se colpevole, nessuno sconto di pena e carcere a vita. pic.twitter.com/KG9t6lUOs7
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) November 19, 2023
Nella storia Elena scrive ancora: «Ministro il cui partito (insieme a FdI, che però ha scelto l’astensione) a maggio ha votato contro alla ratifica della convenzione di Instabul», citando un post della scrittrice e attivista Carlotta Vagnoli. «Così – conclude -, nel caso voleste altri motivi per comprendere quanto il femminicidio sia un omicidio di Stato».
La sorella di Giulia si riferisce alla votazione che c’è stata a maggio scorso all’Europarlamento che ha dato il suo sì all’adesione dell’Ue alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la Convenzione di Istanbul. Le delegazioni di FdI e Lega, però, si sono astenute in maniera compatta nelle due votazioni. Che riguardavano una prima risoluzione che si occupava dell’adesione alla Convenzione nel settore pubblico e una seconda che invece si incentrava sulla cooperazione giudiziarie e sull’asilo. Entrambe le risoluzioni sono state votate da un’ampia maggioranza (S&d, Renew, Verdi, Sinistra, M5S e la grandissima parte del Ppe). Contrari i membri polacchi di Ecr e parte del gruppo Id. Tra gli italiani Lega e FdI hanno optato invece per l’astensione.
La politica deve dare delle risposte. A concedere le «attenuanti», come confermano le cronache recenti, ci pensa già la giustizia, spesso pronta a «soccorrere» i colpevoli accogliendo tesi difensive su presunte o ridotte capacità di intendere e di volere, attenuando l’applicazione delle misure cautelari, scontando «aggravanti» varie. C’è persino chi, riferendosi a un femminicidio, continua a parlare di “raptus”, di “amore malato” o di “tempesta emotiva”, non riuscendo a togliersi dalla testa la convinzione secondo cui le passioni non si potrebbero controllare, la gelosia sarebbe una prova d’amore, e la violenza la conseguenza inevitabile dell’abbandono. Come se la donna continuasse a contare meno dell’uomo, ad avere meno valore, talvolta a non essere altro che un “oggetto di possesso”.
Ormai sappiamo che l’aggressività e il desiderio di possesso fanno parte della natura umana. Ma abbiamo anche capito che la violenza, se non la si può cancellare, la si può almeno contenere e prevenire. Avendo il coraggio di fare a pezzi i pregiudizi, gli errori, i compromessi, le scuse e le banalità di cui, ancora oggi, sono impastati i rapporti tra gli uomini e le donne. È solo decostruendo e ricostruendo la grammatica delle relazioni affettive, che si potranno combattere e prevenire le violenze di genere.