Al Festival di Sanremo duetterà con il rapper Livio Cori (29 anni), utilizzando l’auto-tune, il software che robotizza la voce, in alcuni passaggi di “Un’altra luce”, la canzone con cui è in gara. In giugno, invece, salirà sul palco insieme con Gigi D’Alessio (51 anni) nel trionfo del neomelodico.
Sono le due facce di Nino D’Angelo (61 anni), il caschetto biondo di “’Nu jeans e ‘na maglietta” e l’amico di Miles Davis, il ragazzo della curva B e lo sperimentatore di sonorità etno. “L’ignorante intelligente”, come suggerisce il titolo della sua autobiografia. La faccia è sempre quella dello scugnizzo, ma velata da una sorprendente maturità, lo sguardo attento e vivo di chi ha capito che nella vita c’è sempre da imparare, che si può migliorare, crescere, progredire come uomo e come artista. Sembra uno di quei bambini che si incontrano nelle terre desolate, privi di istruzione e di mezzi, ma con l’intelligenza pronta e con uno sguardo che fa capire che sarebbero stati migliori di altri, se solo ne avessero avuto l’occasione.
Nino D’Angelo continua così a provare nuove esperienze, senza dimenticare le radici. «Io e Gigi (D’Alessio, nda) veniamo dalla stessa trafila: matrimoni, feste di piazza, successo locale, successo nazionale. Sono stato io a invogliare D’Alessio a cantare, quando era ancora un ragazzino e suonava solo il pianoforte: “Ma o ssaje che tiene na bella voce?”» spiega, giustificando l’inatteso incontro fra due ex rivali. «Abbiamo seguito strade diverse, divergenti talvolta, è vero. Io sono stato il primo dei neomelodici, poi mi sono spostato verso un altro genere, per suoni e contenuti, ed è arrivato lui. Non c’è stata mai una rottura, forse ci siamo ignorati, forse il pubblico napoletano ha bisogno di rivalità, di tifo da curva, tipo Bruni o Murolo, Mario Merola o Pino Mauro. Il bello è che, ritrovandoci dopo vent’anni, abbiamo scoperto che insieme ci divertiamo come dei bambini. Siamo troppo simili, non solo per l’appartenenza alla matrice neomelodica».
L’altro, quello sul palco dell’Ariston con Livio Cori, è invece un incontro intergenerazionale. “Un’altra luce” potrebbe quasi essere il racconto di uno scambio di testimonial, che non rottama nessuno e nessuno prepensiona, ma ricorda che la canzonetta era, è, e sarà soprattutto regno ormonale giovanile, manifesto di esuberanza juniores. «È un dialogo tra due facce di Napoli che si confrontano sotto il comune denominatore della musica» spiega Nino D’Angelo. Per metà in napoletano («io in italiano non canto»), scritta dalla strana coppia con Big Fish, guardando al nu soul, all’urban sound, alla trap, la canzone è proprio un dialogo fra generazioni. «La mia ha fallito, ha sbagliato tante cose, non le ha sapute gestire – commenta D’Angelo – Abbiamo lasciato ai nostri figli un’Italia sbandata, la disoccupazione… Nel testo Livio, a nome dei suoi coetanei, chiede un po’ di luce. Giusto. È arrivato il momento di ripagare per quanto abbiamo avuto».
Livio Cori, attore in tv nei panni di O’Selfie in “Gomorra”, tra i principali indiziati nella ricerca della identità del misterioso rapper Liberato, nega di essere l’Elena Ferrante della musica, pur ammettendo un’attrazione per i neomelodici. «Nino D’Angelo è il Liberato degli anni Ottanta. Ha segnato il tempo con le sue produzioni. “Terranera” e “’O schiavo e ‘o rre” sono dischi importanti. E direi che lo stesso Liberato viene proprio da quell’immaginario creato da Nino. Basta osservare i video dell’artista invisibile per comprenderlo… Io non sono cresciuto con il mito del Festival, ma con quello di Nino D’Angelo sì. Avevo questa canzone e sentivo che aveva bisogno di un contributo esterno, che andava arricchita. In Sugar mi chiesero: chi vuoi? E pensavano che sparassi il nome di chissà quale rapper. Ma io volevo Nino, sapevo, sentivo, che c’era lo spazio per lui. Non è facile trovare un artista che, dopo 40 anni di carriera a quei livelli, abbia ancora voglia di sperimentare». “Un’altra luce” sarà contenuta nell’album “Montecalvario – Core senza paura”, in uscita l’8 febbraio per Sugar.
A metterli assieme è stata Caterina Caselli: il caschetto d’oro dei neomelodici partenopei e il casco d’oro della canzone italiana. Una discografica che ha il fiuto e che raramente sbaglia il colpo. «A Sanremo io non ho mai vinto niente, anzi sono stato persino eliminato» sorride amaro Nino D’Angelo. «Ma Claudio Baglioni ha abolito quel rito vergognoso e garantisce a tutti la possibilità di essere ascoltati con attenzione. Ha davvero messo al centro la musica. Gliene dobbiamo essere tutti grati, matusa e ragazzi».
E anche sul tema migrazioni sta con Baglioni che ha parlato di «farsa» a proposito delle modalità con cui politica sta gestendo il tema. «Ha detto le stesse cose che dico e penso io. Anche noi artisti abbiamo diritto di dire ciò che pensiamo, senza volerci sostituire ai politici. Piuttosto ho trovato fuori luogo le parole del direttore di Rai1, Teresa De Santis, che ha negato a Baglioni un ritorno il prossimo anno».