La sociologia moderna e le scienze politiche hanno da tempo approfondito i propri studi sulla genesi e lo sviluppo dei movimenti sociali. Strutture orizzontali, liquide, a geometria variabile hanno ormai permeato il mondo della politica e sembrano rappresentare un futuro non così lontano. Futuro che guarda a formazioni meno gerarchizzate e piramidali, a tratti rizomatiche, imprevedibili negli strumenti di azione e lotta politica utilizzate nell’economia della propria esistenza. Nonostante i caratteri di novità che i movimenti sociali hanno apportato nel panorama politico contemporaneo, ciò non li sottrae a vecchie logiche come quelle legate alla personalizzazione dell’attività politica. L’elettorato dimostra di avere ancora bisogno di riferimenti chiari, visibili, degli uomini forti al comando come ampiamente dimostrato dal caso tutto italiano del Movimento 5 stelle che vede in figure quali quelle di Beppe Grillo, Luigi Di Maio o Alessandro Di Battista vertici inamovibili in termini di leadership. I movimenti sociali sono formazioni dinamiche, crescono, cambiano e si evolvono a seconda dei momenti storico-politici che si trovano ad attraversare. In particolare gli studiosi identificano 4 momenti. Il primo è quello dello “Stato Nascente” in cui il soggetto politico ha bisogno di una figura carismatica e, per certi versi, “profetica” capace di fare emergere il movimento all’interno della sfera dell’opinione pubblica (ruolo pienamente assolto da Beppe Grillo nelle fasi embrionali del M5S come i Vaffa-Day). Il secondo momento è quello della “Mobilitazione” in cui il movimento inizia a strutturarsi sui territori e serra i ranghi attraverso l’organizzazione di eventi di piazza. Il terzo passaggio è quello del “Consolidamento” in cui si vengono a creare strutture intermedie che ricordano quelle delle formazioni politiche tradizionali come i partiti anche se non presentano lo stesso grado di formalizzazione (si veda ad esempio la costituzione del direttorio per il M5S). Infine abbiamo la fase dell’istituzionalizzazione in cui il soggetto politico inizia a competere in tornate elettorali, cerca la legittimazione di attori sociali ed economici di comprovata autorevolezza, prova a conciliare gli strumenti classici della protesta politica con quelli della proposizione costruttiva. Proprio in questa direzione sembrano andare i recenti sforzi del leader penta-stellato Di Maio, non nuovo a trasferte internazionali come quella appena conclusasi negli USA finalizzate a mostrare, appunto, il volto istituzionale di un Movimento che da molti viene ancora percepito come “di protesta” e frutto più dei demeriti di un sistema politico atrofico ed imbolsito che dei propri meriti legislativi ed amministrativi.
LA TRASFERTA A STELLE E STRISCE. Un primo elemento su cui riflettere è quello della scelta degli interlocutori internazionali da parte del M5S. Se in passato i grillini avevano più volte strizzato l’occhio alla Russia di Putin, dalle parole di Di Maio sembra di capire come gli USA siano il principale partner nello scacchiere estero dei pentastellati mentre il Cremlino sarebbe un semplice interlocutore seppur “storico” come lo ha definito il giovane politico campano. A questo proposito, Di Maio ha colto la palla al balzo per smentire presunti finanziamenti russi alle attività politiche del M5S collegati alla richiesta penta-stellata di eliminare le sanzioni economiche inflitte al Cremlino considerate di dubbia efficacia, «abbiamo da sempre rifiutato qualsiasi sovvenzionamento pubblico per essere immuni da condizionamenti, figuriamoci se tollereremmo mai una cosa del genere» ha dichiarato il leader penta-stellato. Negli USA Di Maio ha inteso accreditare il suo movimento come la prima forza politica italiana, come avrebbero confermato le elezioni regionali siciliane e, insistendo sulla politica estera, si è detto non contrario a prescindere a missioni di pace internazionali pur condannando esperienze recenti come quella in Afghanistan. Un altro tema affrontato è stato rappresentato dalla bilancia commerciale USA-Italia, argomento in cui è possibile leggere, tra le righe, le contraddizioni di un Movimento che da un lato si professa contrario a ipotesi di grandi accordi commerciali transatlantici come il TTIP ed il CETA mentre dall’altro, come affermato da Di Maio, vorrebbe maggiori scambi bilaterali tra gli Stati Uniti ed il nostro Paese. Di Maio non ha, però, mostrato soltanto accondiscendenza nei confronti dell’alleato a stelle e strisce, ha anche bacchettato l’amministrazione Trump sulle politiche energetiche affermando: «Non condividiamo l’idea di aumentare le emissioni per essere competitivi. È solo un modo per rimandare il problema che poi ritorna anche con i fenomeni migratori, che dipendono in parte dai cambiamenti climatici e dalla siccità». Il giovane politico campano non ha risparmiato nemmeno una stoccata sull’impegno americano in Libia che avrebbe potuto essere “più incisivo”.
LE REAZIONI DI STAMPA E STAKEHOLDER. Non si può dire che la visita del leader penta-stellato in America non abbia suscitato qualche moto di diffidenza. Di Maio ha incontrato stakeholder importanti, tra cui anche rappresentanti del Vaticano, politici e diplomatici statunitensi. Tra questi, però, nessuna figura di primissimo piano, elemento che fa pensare, come detto, ad una certa ritrosia da parte degli ambienti internazionali. Non a caso la missione penta-stellata era finalizzata a sbiadire nell’opinione pubblica statunitense accostamenti tra il M5S ed altre forze politiche come Alternative für Deutschland, Front National e simili. L’etichetta di “forza populista”, infatti, è stata negata da Di Maio con estrema determinazione. La stampa statunitense non è stata tenerissima con Di Maio non lesinando riferimenti alla sua vita privata. Il New York Times ha infatti scritto durante la permanenza del politico campano che «Anche se non ha mai completato i suoi studi e non ha mai fatto un vero lavoro, Di Maio sarà il candidato a primo ministro; è completamente privo di esperienza ed i grillini si sono spesso dimostrati incompetenti, come Virginia Raggi sindaca di Roma». Più soft, invece, l’approccio del Whashington Post che ha sottolineato come in Europa stia arrivando il momento di un cambio generazionale alla guida dei maggiori paesi europei come dimostra l’ascesa di Macron in Francia. Il giornalista Ishaan Tharoor ha definito Di Maio come «The millenial who would be the Italian next leader» e, in generale, ha dato molto meno peso al mancato completamento del percorso universitario del leader grillino. Il percorso verso l’istituzionalizzazione del Movimento 5 stelle è ancora lunga ed irta di ostacoli. In particolare, la difficoltà più grande sarà mantenere il consenso della base storica ammorbidendo parallelamente alcune posizioni radicali come quelle assunte negli anni sui vaccini, sulle basi internazionali in Italia, sulle grandi opere e sui grandi eventi. Tra governare e protestare, c’è di mezzo il mare, o, come in questo caso, l’oceano.