Sono trascorsi quasi undici anni dalla morte di Piergiorgio Welby, da cinque anni se ne discute in parlamento e da sette mesi è tutto fermo al Senato. La legge sul biotestamento rischia di non essere approvata entro la fine della legislatura. A scuotere le coscienze nei giorni scorsi è stato un messaggio di Papa Francesco inviato al presidente della Pontificia accademia per la vita, monsignor Vincenzo Paglia. Bergoglio ha spiegato che rinunciando alle cure «non si vuole procurare la morte, ma si accetta di non poterla impedire». No, dunque, all’uso sproporzionato di farmaci e tecnologie che permettono di prolungare la vita anche quando non c’è alcuna prospettiva di guarigione, no all’accanimento terapeutico già definito in questi termini da Pio XII e testimoniato da Giovanni Paolo II negli ultimi giorni della sua vita quando disse «Lasciatemi tornare alla casa del Padre».
LA SVOLTA DEL PAPA. Ma le parole di Francesco non aprono all’eutanasia. In realtà non c’è stato cambiamento nella dottrina della Chiesa rispetto al “fine vita”. Eppure sono parole importanti che restituiscono dignità al malato: sarà lui a decidere. Papa Bergoglio parte dal presupposto che oggi «la medicina ha sviluppato una sempre maggiore capacità terapeutica, che ha permesso di sconfiggere molte malattie, di migliorare la salute e prolungare il tempo della vita. Essa ha dunque svolto un ruolo molto positivo. D’altra parte – ricorda però Papa Francesco – oggi è anche possibile protrarre la vita in condizioni che in passato non si potevano neanche immaginare». Per questo richiede un «supplemento di saggezza» e la rinuncia ai mezzi terapeutici quando non c’è possibilità di guarigione. «Non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso – sottolinea Bergoglio – equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte». Parole che fanno riflettere e incalzano per tornare sulla legge.
IL TESTO. La legge è stata approvata dalla Camera lo scorso 20 aprile e permette, entro certi limiti, di esprimere in anticipo quali trattamenti medici ricevere nel caso di gravi malattie. In particolare, consente a qualsiasi maggiorenne la possibilità di rinunciare ad alcune terapie mediche, in particolare alla nutrizione e all’idratazione artificiale. Questa interruzione può essere ottenuta anche con le cosiddette “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT), un documento nel quale si può indicare a quali terapie si vuole rinunciare e a quali condizioni, nel caso in cui a un certo punto si sia impossibilitati a esprimere la propria preferenza. Di fatto il diritto all’interruzione delle terapie era già stato ottenuto per via giurisprudenziale per i casi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. La legge, se approvata, introdurrà il diritto all’interruzione delle terapie senza i lungi procedimenti penali.
I CASI. La discussione sulle norme in materia di “fine vita” è stata avviata per la prima volta in Parlamento nel 2013, ma il dibattito fuori dall’aula ha inizio molto prima con Piergiorgio Welby, attivista e co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, affetto da anni di distrofia muscolare. Vani i suoi appelli al mondo della politica e ai magistrati. Il 16 dicembre 2006 il tribunale di Roma respinse la richiesta dei suoi legali di porre fine all’accanimento terapeutico, dichiarandola “inammissibile”. Pochi giorni dopo, l’attivista chiese al medico Mario Riccio di porre fine al suo calvario. Riccio staccò il respiratore a Welby sotto sedazione, venendo poi assolto dall’accusa di omicidio del consenziente. La politica è rimasta immobile, mentre fuori tanti ammalati chiedevano di morire dignitosamente: Giovanni Nuvoli, ex arbitro e agente di commercio di Alghero, affetto da sette anni da Sclerosi laterale amiotrofica; Eluana Englaro la ragazza di Lecco rimasta in stato vegetativo per 17 anni in seguito a un incidente stradale; Lucio Magri, politico, saggista, fondatore del ‘Manifesto’, che scelse di morire in Svizzera tramite il suicidio assistito; Max Fanelli, 56 anni affetto da Sla, che aveva lanciato un appello su Youtube per sollecitare il dibattito parlamentare sull’autodeterminazione del malato; Walter Piludu, ex presidente della Provincia di Cagliari e malato di Sla, che si era rivolto al presidente del consiglio e ai parlamentari chiedendo una norma sul fine vita e dj Fabo, cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale, ha messo fine alla sue sofferenze in una clinica in Svizzera.
L’ITER. Il disegno di legge non è ancora in calendario a Palazzo Madama ma il 28 ottobre è arrivato a scuotere il Parlamento un nuovo appello, questa volta di Michele Gesualdi, allievo di don Lorenzo Milani ed ex presidente della Provincia di Firenze, oggi malato di Sla, inviato al presidente del Senato e alla presidente della Camera. Gesualdi, facendo riferimento alla sua malattia, ha chiesto un’accelerazione della legge sul testamento biologico: «Non si tratta di favorire l’eutanasia, ma solo di lasciare libero l’interessato di scegliere di non essere inutilmente torturato». Al Senato la legge è catalogata come atto 2801 ed è tuttora in esame in commissione dove erano stati presentati tremila emendamenti. Lo scorso ottobre la presidente della commissione Emilia De Biasi, del PD, per aggirare l’ostruzionismo, si era dimessa da relatrice in modo da accelerare l’arrivo della legge in aula. I dubbi sulla legge sono sollevati soprattutto dai parlamentari di orientamento cattolico. Fino ad ora è stata sostenuta dal Pd, dalla sinistra e dal Movimento 5 Stelle. Dunque, al di là delle parole di Papa Francesco, degli appelli ai parlamentari, l’approvazione della legge sul biotestamento si risolve in una mera questione di numeri e tempi tecnici.