Il black Friday è alle porte, per tanti una boccata d’ossigeno per i portafogli sempre più zavorrati da imposte, inflazione e crisi economica. Quasi una manna dal cielo, un’occasione per riunire la famiglia dietro le luci colorate di una vetrina. I templi del consumo, i grandi store e centri commerciali, sono pronti ad aprire i battenti per permettere così alle migliaia di accoliti di affannarsi ad arraffare l’ultimo capo d’abbigliamento in saldo o quel meraviglioso paio di scarpe in bella mostra sullo scaffale. Il black Friday ci offre un’occasione d’analisi che non può fermarsi al mero dato economico ma deve necessariamente includere un’analisi delle dinamiche sociologiche che si muovono dietro le quinte di eventi simili.
LE ORIGINI A STELLE E STRISCE. Da buoni esterofili, non potevamo esimerci dall’importare entusiasticamente l’ennesima usanza di altri popoli che si tratti di Halloween o della festa di San Patrizio. Sintomo di un’identità confusa, permeabile e non più radicata. Sarà. Per vederci chiaro sul black Friday, dobbiamo sbirciare oltreoceano, sulle sponde dei nostri “grandi alleati” americani. Il termine in questione farebbe infatti riferimento all’inchiostro nero utilizzato dai commercianti americani di una volta per annotare nei registri contabili i guadagni sotto la rispettiva voce. Ciò accadeva in maniera particolare nel periodo pre-natalizio quando, grazie ai saldi proposti ai consumatori, il livello dei consumi schizzava verso l’alto a ritmi vertiginosi.
ASPETTI ECONOMICI ED ASPETTI SOCIOLOGICI. Da un punto di vista prettamente economico, il black Friday è molto atteso dagli analisti come cartina di tornasole del livello generale dei consumi e della capacità di spesa della popolazione. Questo evento, infatti, muove numeri pazzeschi, sia in termini di denaro che in termini di persone. Nel solo 2013, negli Stati Uniti, sono stati spesi qualcosa come 57,4 miliardi di dollari in un solo giorno da più di ottanta milioni di persone: per offrire un paragone è come se l’intera popolazione della Germania fosse andata a fare shopping nello stesso giorno. Ma i numeri non riescono spesso a raccontare le tante dinamiche che si muovono sotto la propria superficie. I numeri sono freddi, asettici, nella loro gelida semplicità non riescono ad abbracciare le storie, le miserie, le paranoie che gli gravitano attorno come tanti satelliti. Dietro ai numeri ci sono gli esseri umani, ci siamo noi, e ogni essere umano rappresenta un universo vasto e sconosciuto. Ci si chiede troppo poco spesso come questi consumi siano distribuiti, quali fasce della popolazione siano coinvolte in eventi come il black Friday e quali no. E soprattutto perché. Eventi come il black Friday ci ricordano l’importanza di temi economici quali la redistribuzione della ricchezza in un pianeta dove le diseguaglianze continuano a crescere tra chi ha tantissimo e chi non ha nulla o quasi. Nella liturgia del consumo, ci dimentichiamo di chi rimane fuori dalle porte del tempio, schiacciato sul selciato, inerme. E poi ci sono le dinamiche sociologiche, quelle che già un maestro come il compianto Baumann aveva ampiamente fotografato. Il consumo per il consumo. Consumare per esistere. Consumare per acciuffare una felicità che continua a fuggire in avanti. Ogni desiderio soddisfatto ne alimenta di nuovi, un’interminabile spirale che si auto-alimenta, pura entropia. Ci troviamo immersi in una società di consumatori dove siamo valutati in base alla nostra capacità di consumare. Rischiamo di trasformarci in esseri “auto-telici” dove il nostro benessere personale rappresenta l’unico fine che valga la pena perseguire. Nei centri commerciali che saranno invasi venerdì ci si potrà immergere in maniera plastica nella società liquida descritta dal sociologo polacco. Un insieme amorfo, caratterizzato da identità permeabili e dalla frenesia del movimento, incatenato alla velocità, vero tiranno della nostra modernità. Nel vortice del consumo ogni cosa è caduca, si deteriora e perde d’interesse nel giro di pochissimo tempo. Il consumo usa e getta. D’altronde la cifra dei nostri tempi è quella “flessibilità” da molti invocata per il mondo del lavoro dove tutto deve costantemente mutare, riformarsi, riconfigurarsi. Il consumo si eleva a spreco in sfregio di una povertà così diffusa nelle nostre comunità. Il consumo assorbe come un’idrovora le risorse sempre più scarse che il nostro pianeta ci mette a disposizione. La tendenza forse più preoccupante di questi fenomeni è l’espansione dei mercati che fanno da teatro ai consumi. Come un novello Re Mida, ogni cosa che il mercato tocca si trasforma in merce di consumo, anche quei valori, come la vita, che eravamo abituati ad escludere da qualsiasi logica di compravendita. Consumo, ergo sum.