Non è tutto oro quel che luccica: quello che non saremmo voluti diventare. Roma, anni Settanta. Un quartiere residenziale, una scuola privata. Sembra che nulla di significativo possa accadere, eppure, per ragioni misteriose, in poco tempo quel rifugio di persone rispettabili viene attraversato da una ventata di follia senza precedenti; appena lasciato il liceo, alcuni ex alunni si scoprono autori di uno dei più clamorosi crimini dell’epoca, il Delitto del Circeo. Edoardo Albinati, oggi prolifica penna e vincitore del Premio Strega 2016, era un loro compagno di scuola e per quarant’anni ha custodito i segreti di quella “mala educacion”. Ora li racconta guardandoli come si guarda in fondo a un pozzo dove oscilla, misteriosa e deforme, la propria immagine. Da questo spunto prende vita un romanzo, che sbalordisce per l’ampiezza dei temi e la varietà di avventure grandi o minuscole: dalle canzoncine goliardiche ai pensieri più vertiginosi, dalla ricostruzione puntuale di pezzi della storia e della società italiana alle confessioni che ognuno di noi potrebbe fare qualora gli si chiedesse: “Cosa desideravi davvero, quando eri ragazzo?”. Albinati traccia un ritratto dei “ragazzi bene” della Roma degli anni ’70: adolescenti alla ricerca di sé e di precisi modelli di maschilità, in un universo ovattato, creato appositamente per proteggerli e tutelarli. Adolescenza, sesso, religione e violenza; il denaro, l’amicizia, la vendetta; professori mitici, preti, teppisti, piccoli geni e psicopatici, fanciulle enigmatiche e terroristi. Mescolando personaggi veri con figure romanzesche, Albinati costruisce una narrazione che ha il coraggio di affrontare a viso aperto i grandi quesiti della vita e del tempo, e di mostrare il rovescio delle cose.
UN LIBRO FIUME, UNA LETTURA FORTE. Un libro che riporta alla storia oscura, complessa, di un’Italia che non c’è più ma che si deve conoscere. Una prosa elegante, ricca che accompagna con occhio lucido e clinico il lettore, attraverso temi che, nonostante il tempo sia passato, siano necessari alla crescita personale ed intellettuale di ogni persona. A tratti più che un romanzo appare un trattato di antropologia, psicologia, psicopatologia, sociologia che si alterna a reminiscenze scolastiche, adolescenziali e di esperienze professionali; si può definire uno spaccato della vita culturale di una determinata epoca e di un ben preciso luogo geografico. Notevoli le perle di saggezza che l’autore riporta come diario personale di un suo professore. Una scrittura rigorosa, elegante e di grande respiro: una lettura non per tutti, che offre tanto ma chiede di più. Più che un romanzo condito da riflessioni, è un saggio con un racconto dentro. Un racconto struggente e vivissimo della vita giovanile negli anni ’70 con tutte le sue contraddizioni, le speranze, le illusioni. Un’opera monumentale, tanto ricca di temi e contenuti ma che, comunque, per un lettore attento, curioso e molto determinato è un’esperienza che lascia il segno e che vale sicuramente la pena affrontare.
LA ROMA PICCOLO-BORGHESE DEGLI ANNI ’70. «Ho lavorato a questo libro – racconta l’autore – per quasi dieci anni. Quando, nel 2005, Angelo Izzo, uno dei responsabili del massacro del Circeo nel frattempo in regime di semilibertà, uccise una madre e sua figlia, quella botola chiusa per anni si riaprì, colpendomi sul piano dell’intenzione artistica». Esistono episodi capaci di forgiare l’immagine di una generazione attraverso una potenza simbolica disarmante in termini di capacità di sintesi storica. Il delitto del Circeo è uno tra questi, poiché ha rappresentato la personificazione degli squilibri della gioventù romana di metà anni Settanta. La Roma piccolo-borghese di quegli anni fu infatti un humus in grado di produrre malavitosi, assassini e terroristi di ogni colore, a dispetto dell’apparente facciata rassicurante e perbenista dei quartieri in cui tali terribili circostanze si manifestarono in tutta la loro inattesa violenza. La Scuola Cattolica è un’indagine sulla psiche di una generazione, un testo privo di intenti auto-assolutori, eppure in grado di fornire al lettore un’immagine nitida delle ipocrisie contro cui quella gioventù dovette lottare. Un conformismo piccolo-borghese che inevitabilmente quei giovani finirono per assimilare, in bilico tra un’obsoleta educazione religiosa e la liberazione dei costumi, una contraddizione capace di generare mostruosità. Il Delitto – al quale sono dedicate appena un centinaio di pagine circa – è solo il pretesto per raccontare il contesto in cui è maturato, la vita di quella generazione post sessantottina. Un grande romanzo scritto per gli uomini, ma indirizzato alle donne. Attuale e sconvolgente alla luce dei femminicidi accaduti ultimamente. Mai banale e sempre appassionante. Albinati, quindi, non si limita a descrivere gli anni trascorsi nella scuola cattolica frequentata anche dagli assassini del Circeo, ma si lascia andare a centinaia di pagine di riflessioni su Dio, sulla famiglia, sullo stupro, sull’omosessualità, sulla pornografia, la politica, l’estremismo. Il quartiere Trieste è un posto tranquillo, in apparenza anonimo, e nel 1975 il “San Leone Magno” è il suo fiore all’occhiello: un istituto religioso in cui crescono i figli della nuova borghesia romana. Un mondo innocuo che diventa d’improvviso inquietante, quando alcuni di quei ragazzi diventano protagonisti di uno degli omicidi più tristemente noti della storia italiana, in una villa del Circeo. Intorno a questo evento simbolo, il romanzo ruota e oscilla raccontando decine di fatti, di premesse e di conseguenze che ci svelano, pagina dopo pagina, in una caduta sempre più travolgente, come e quando è nata la nostra anima crudele, quella disposta a tutto pur di sopravvivere.
FAR TORNARE A GALLA IL PASSATO. «Talvolta il crimine ha la pretesa di raddrizzare i torti, ciò è presente non solo nei delitti di stupro, ma anche nella piaga del femminicidio. Anche per questo motivo, se c’è un sesso debole è quello maschile, costretto a inseguire dei modelli imposti dalla società, ma inarrivabili. Far tornare a galla il passato, il mondo in cui eravamo cresciuti, quello che è stato, ma ha cessato di esistere: è questo il compito autorevole di un romanzo. In questa retrospettiva, alla scoperta di un Paese tradizionalista che all’epoca del massacro del Circeo viveva, paradossalmente più di ogni altra realtà, avanguardie sociali, politiche e sessuali, si incardina una compressione di tempi che altro non fa se non provocare sconvolgimenti e novità, da alcuni vissute con entusiasmo e da altri con panico. In quest’ottica l’emancipazione femminile, che giudico il fenomeno politico più duraturo, ha ingenerato fenomeni di violenza e ingestibilità manifestatisi con eventi crudeli». Il romanzo di Albinati ci riporta indietro nel tempo, lì dove hanno germogliato i semi di quel male oscuro che avrebbe portato a fatti di cronaca noti e presenti nell’immaginario collettivo, eppure ancora misteriosi, ancora sfuggenti nella loro apparente mancanza di motivazione. Il male, nelle pagine di questo romanzo, come nelle nostre vite, si cela dietro i volti di ragazzi perbene, di buona famiglia, educati alle buone maniere e alla morale cattolica. L’istituto San Leone Magno, nel quartiere Trieste, espressione delle speranze che la Roma bene ripone nel futuro e nella formazione dei propri rampolli, diventa quindi un tempio consacrato alla banalità del male. Un testo interessante, che attraverso la narrazione dell’infanzia e dell’adolescenza dell’autore affronta i temi più disparati con un filo portante: l’essere maschio. Il libro infatti è proprio la storia di un giovane a contatto quasi unicamente con altri maschi, contatti da cui si generano riflessioni importanti capaci di colpire il lettore già al primo sguardo. Per quanto imponente un libro che merita di essere letto con attenzione. Un’analisi corposa e senza sconti a riguardo del modo di pensare soprattutto dei maschi italiani della metà anni 70.
UN TORRENZIALE FLUSSO DI COSCIENZA AUTO-BIOGRAFICO su cui si innestano, oltre al racconto delle vicende intime dell’autore, delle riflessioni socio-culturali sulle ragioni che condussero dei giovani di buona famiglia a trasformarsi in violenti omicidi. La Scuola Cattolica non è solo il titolo del libro ma anche il massimo comune denominatore che unisce Albinati con gli autori del delitto, tutti studenti dell’istituto San Leone Magno, una scuola privata gestita dai frati maristi. Un luogo in cui la piccola borghesia romana mandava i pargoli per accertare una presunta scalata sociale e per proteggere la prole dai pericoli del mondo. Qui i giovani furono imprigionati in un ambiente segregato dal mondo femminile, un incubatore di inquietudini sessuali che ha acuito le normali angosce adolescenziali legate all’identità maschile in divenire. Alla ferocia di quegli assassini faceva da contraltare il talento di altri allievi, la tenace intelligenza del professor Cosmo, la miracolosa ipocrisia dell’insegnante di religione. Albinati racconta di aver popolato le sue pagine con gli insegnanti e i compagni di scuola, personaggi mitologici, le cui descrizioni sono date al lettore attraverso una mirabile capacità di ricostruire il linguaggio, gli atteggiamenti e l’immaginario collettivo di una generazione. Gli stati d’animo dei personaggi vengono riproposti con un’onestà sanguigna, a dimostrazione che, nonostante siano passati quattro decenni, quelle paure siano ancora fresche, indelebilmente marcate nell’animo, e necessitino di questo romanzo-fiume per essere indagate ed esorcizzate.
LA RICOSTRUZIONE DI UN SENTIRE COMUNE. Il testo appartiene parzialmente al genere letterario delle confessioni, di cui vengono autoironicamente evocati dall’autore ingombranti paragoni con S. Agostino e Rousseau. La natura del romanzo – sospesa tra uno sviluppo diaristico e il libero flusso di coscienza – conferisce alla trama un andamento narrativo per nulla lineare, sostenuto tuttavia da una prosa chiara e ammiccante che procede vivacemente a sprazzi, attraverso esplosioni di ritmo che trovano forma in affascinanti digressioni psicologiche capaci di sostituire la trama stessa. Risulta infatti difficile trovare un appiglio narrativo – per esempio cronologico – che riesca a legare tutti gli episodi descritti. Il delitto del Circeo stesso viene per la prima volta evocato solo a metà del libro, come se non fosse la ragione stessa del romanzo, ma un accidente che interrompe bruscamente i pensieri dell’autore per poi ricomporli e veicolarli verso un fine. L’obiettivo infatti non è la cronistoria di un delitto ma la ricostruzione di un sentire comune che legava i giovani romani in quegli anni, un imponente lavoro che premia l’ambizione e il coraggio di Albinati, senza ombra di dubbio autore di un libro epocale, del quale sicuramente il pubblico e la comunità editoriale italiana parleranno a lungo.