Assistiamo in questi giorni a schermaglie di tipo politico che provano a sfruttare uno dei vecchi problemi dell’umano, che oggi è amplificato dalla possibilità di tutti praticamente di mettere in rete notizie false senza che esista maniera per impedirlo. Una legge in tal senso suonerebbe ancora più ridicola di quanto già suona il tentativo di mettersi tra i buoni, che ogni fazione prova a fare, gettando discredito sugli “altri”, che sarebbero i cattivi. L’unica soluzione è chiaro che rimane nella voglia di essere sempre informati in prima persona, con una ricerca personale, con la partecipazione; quella che il grande Gaber definiva come reale libertà. Le goffe schermaglie politiche le lasciamo analizzare ai tecnici del campo. Proviamo invece a riflettere sui reali pericoli e sulle ragioni possibili da cui deriva questo costume. Uno dei più grandi, e forse il primo “fake” di portata internazionale della storia, fu realizzato da Orson Welles, penso con un semplice intento pubblicitario, ma a quanto pare la cosa prese una direzione inaspettata, al punto che l’invenzione letteraria di quella fine del mondo, nonostante alla radio sia stato ripetuto che si trattava di una finzione, gettò nel panico parte degli Stati Uniti, e in seguito divenne un emblema della cultura pop, dandoci anche un esempio delle potenzialità meravigliose, e al contempo dannose delle possibilità ci comunicazione dei media. Ma erano altri tempi. Ora quello che accade è alla portata di tutti. In noi è ancora vivo il ricordo di Umberto Eco, che attaccò i social, dicendo che «permettono alle persone di restare in contatto tra loro, ma danno anche diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel». E poi aggiunse, citando Hegel: «La lettura del giornale è la preghiera quotidiana dell’uomo moderno. Si tornerà all’informazione cartacea». Ottima difesa della carta stampata, senza dubbio, da parte di uno dei più grandi intellettuali del mondo, ma senza voler essere catastrofisti, non sono proprio dello stesso avviso, pur amando visceralmente il rapporto con la carta. In realtà i piccoli successi dell’imbecille di turno di sicuro non rappresentano un reale pericolo per l’informazione. Più serio è di certo il problema quando ciò viene operato da grandi gruppi di potere. Che il sapere fosse una forma di potere lo hanno intuito in tanti. Conoscere vuol dire poter leggere i segnali della vita e sapere di continuo quale direzione prendere a qualunque incrocio della strada. È il segno forte che ha guidato l’uomo dai tempi di Neanderthal fino ad oggi, perché scegliere, e avere i giusti strumenti per farlo ha sempre aiutato nei percorsi. Questo lo sapeva l’uomo scimmia come il primo contadino che ha cominciato ad affidarsi alla “cultura”. Non è difficile immaginare, pensando all’importanza delle informazioni militari e agli anni dedicati alla ricerca di forme sempre più complesse per proteggerle e per decifrarle, quanto il venire in possesso di dati fondamentali dell’assetto e del progetto del nemico consentisse uno straordinario vantaggio.
LA COSTRUZIONE DELL’IGNORANZA. La dinamica che riguarda il passaggio delle informazioni senza distorsioni è stata una delle molle propulsive che ha portato alla nascita di tutti i sistemi di comunicazione. Il primo posto dove questo è stato messo in pratica è l’ambito militare. Campo dove per mantenere una posizione di forza e di vantaggio è necessario che anche il passaggio delle informazioni sia protetto e veloce. E qui anche la costruzione dell’ignoranza ha dei vantaggi straordinari per chi detiene forme conservatrici di potere. Se si osservano i comportamenti dell’uomo durante i conflitti o anche durante le situazioni di conflitto edulcorate e simboliche, come ad esempio nelle competizioni sportive, si comprende subito che una delle prime utili strategie è quella di confondere o falsificare le informazioni che l’avversario può ottenere. Se lo spionaggio ha avuto un ruolo fondamentale nello svolgersi di tutti i conflitti, il controspionaggio oltre ad avere compiti di difesa ha anche avuto l’intento di costruire menzogne e false informazione. Il depistaggio è insomma una costruzione dell’ignoranza. Un fornire informazioni sbagliate può portare a comportamenti molto più dannosi di uno stato in cui non si hanno affatto informazioni. Alla luce di rimembranze aristoteliche, immaginiamo un viaggiatore ad un bivio chiedere delucidazioni a uno sconosciuto, sul percorso di due strade di cui una è la strada sicura e l’altra è quella che porta alla morte sicura. Se detto sconosciuto non rispondesse nulla lasciando il viaggiatore nella totale ignoranza, il non sapere potrebbe fargli fare tre scelte: andare a destra, andare a sinistra o scegliere di aspettare che passi qualcun altro, per avere informazioni. Se invece lo sconosciuto gli desse l’informazione errata al malcapitato viaggiatore non resterebbe che andare incontro a morte sicura.
UNA IGNORANZA ATTIVA. Il nemico o l’avversario trova utile costruire menzogne per la morte dell’altro o la sconfitta e per aggiudicarsi i punti in palio, ma perché un potere costituito, una casta, trova interessi nel costruire l’ignoranza? Qui entra in gioco uno delle forme deviate dell’umano. Esiste nell’uomo l’idea egoista che le risorse siano poche e che vadano conquistate e conservate il più possibile sotto il proprio controllo. Le informazioni contengono chiavi di accesso a delle strutture che sono in grado di migliorare la vita di ognuno, quindi custodire le informazioni può essere anche un vantaggio per chi aspira al governo di tanti e alla loro gestione per impedirne le scelte libere in grado di annullare alcuni vantaggi acquisiti. Chi non sa brancola nel buio, mentre chi sa ha una piccola lanterna che può usare anche per fare del male. L’ignoranza attiva è la mancanza di reale curiosità. E la curiosità e la mancanza di conoscenza devono portare a una ricerca che deve essere libera e guidata dall’onestà, non andare ad asservire caste o poteri costituiti. Non è più fondamentale analizzare la serie di casi particolari in cui ciò è avvenuto in passato in ogni parte del mondo. Avviene ancora, questo è il dramma innegabile, ed è quindi importante ripartire da una idea di indagine personale per andare verso una cultura che sia frutto di una ricerca autonoma, di una analisi intelligente delle fonti, per poi arrivare alla condivisione e alla comunione. Senza arrivare, si spera, alle esagerazioni di un tipo che vuole lanciarsi nell’atmosfera con un razzo artigianale per vedere se la terra è piatta! Si può insegnare ai ragazzi come analizzare e filtrare le informazioni dal web, visto che non può esistere uno sceriffo. Si può costruire una cultura che vada in maniera naturale contro le mistificazioni e le bufale di ogni sorta, e soprattutto i giornalisti, i primi che per pigrizia o malafede rimangono prigionieri delle bufale, possono imparare come fare bene il proprio lavoro. Questa tensione ideale alla fine non può che portare verso risultati di verità e di libertà mentre «Niente è più terribile di una ignoranza attiva», come disse Johann Wolfgang von Goethe.