È passato esattamente un anno dalla data in cui gli italiani sono stati chiamati ad esprimersi sul terzo referendum costituzionale della storia repubblicana. Il responso delle urne fu chiaro, il progetto di riforma costituzionale partorito dal Pd renziano fu rigettato con quasi il 60% dei voti da parte degli elettori. Da allora, l’epopea del segretario dem si è arricchita di nuovi entusiasmanti risultati. Dalla disfatta siciliana alle scissioni interne il passo è stato breve ed ha condotto alla clamorosa resurrezione di Silvio Berlusconi e del centro-destra unito. L’ultimo miracolo del profeta fiorentino, 365 giorni dopo la sconfitta referendaria, è stato quello di riunire un fronte a sinistra del Pd lì dove avevano sempre imperato personalismi, antipatie, eccessi d’ortodossia ed altre amenità.
LE GRAVI RESPONSABILITÀ DEL SEGRETARIO. La sinistra non ama vestire in camicia bianca. Può indossarla, certo, nello spazio breve di un cambio di stagione, un vezzo primaverile capace di suscitare un volubile entusiasmo, una suggestione pronta a dissiparsi alle prime nevi dell’inverno. La storia recente, e non certo chi scrive, ha dimostrato come tutti i tentativi di annacquare il rosso con una tinta più pallida e sgranata siano naufragati nelle secche delle divisioni politiche e dello smarrimento d’identità. Basti ricordare l’esperienza inglese di Tony Blair che volle “svecchiare” le politiche socialiste dell’old labour, contaminandole con alcune misure liberali ed alcune scelte di politica estera poco inclini alla tradizione socialdemocratica Europea. Risultato, qualche anno di gloria prima della disintegrazione del partito con la sua conseguente irrilevanza negli accadimenti recenti del regno di sua maestà la regina. Una iattura che a stento quel vecchio lupo socialista di Jeremy Corbyn sembra essere riuscito ad esorcizzare nella Gran Bretagna post Brexit. Lo stesso mefitico viale, stretto e tortuoso, sembra averlo imboccato anche Matteo Renzi che, a colpi di politiche liberiste, dopo la parentesi da fasti imperiali delle Europee del 2014, quando ottenne una vittoria schiacciante sui rivali del 5 stelle con un Pd al 40%, è riuscito ad inanellare una serie di fallimenti politici da record. Ad un anno dalla sconfitta forse più importante del suo segretariato, Renzi si trova alle prese con un centro-destra nuovamente compatto ed in rampa di lancio per le politiche della prossima primavera, un Movimento 5 Stelle mai così forte nei sondaggi come prima forza politica italiana ed un nuovo polo a sinistra che ha incredibilmente messo da parte fratture e divergenze per lanciare la sua sfida alle stelle, come avrebbe detto qualche futurista. Gli errori del segretario dem vanno ricercati, oltre alle scelte di politica interna (inutile pavoneggiarsi della creazione di nuova ricchezza quando la sua distribuzione continua a seguire linee di profonda ineguaglianza), certamente nella sua scarsa attitudine a gestire il dissenso in seno al Pd. Una palese mancanza di capacità negoziali forse derivata da un carattere molto accentratore, ai limiti dell’arroganza.
LIBERI E UGUALI. «Niente dà libertà più di essere se stessi», lo ha affermato il nuovo leader del polo di sinistra, Liberi e Uguali, Pietro Grasso. Un balsamo ristoratore per una parte di quel popolo sentitosi orfano dopo l’avvento del renzismo in seno al Pd. La sinistra in camicia rossa, come si diceva in precedenza, che torna ad esibire con fierezza il petto e rivendica il nocciolo duro dei propri valori e della propria tradizione politica. Libertà ed uguaglianza, appunto, i due temi da cui ripartire. La libertà dalle pressioni dei grandi potentati economici, dalle banche agli interessi delle multinazionali (si veda ad esempio quanto successo per il referendum sulle trivellazioni). La libertà di poter dire e fare qualcosa di sinistra senza il timore di perdere consensi tra i moderati. L’uguaglianza, poi, continua a rimanere un tema di estrema attualità in un paese dove aumentano i divari economici fra classi sociali. Un paese dove persistono vergognose sacche di povertà, un paese dove non tutti hanno la possibilità di cominciare il proprio percorso dallo stesso nastro di partenza. Questi valori, questo anelito ad una nuova riaffermazione di una cultura di sinistra, sembra essersi ben incarnato nella figura del presidente del senato. Certo, stona un po’ con i proclami di discontinuità il persistere della vecchia, vecchissima guardia in prima fila, da D’Alema a Bersani. Leader ormai consunti dal tempo, che forse dovrebbero prendere in considerazione l’idea di ritirarsi in buon ordine per favorire un più forte ricambio generazionale della classe dirigente. Ma dentro a questo nuovo contenitore, ci sono anche ampie parti di quei coordinamenti che furono protagonisti della battaglia referendaria del 4 dicembre di un anno fa rappresentati, tra gli altri, dall’avvocato Anna Falcone. Una nuova “casa”, dunque, come la definisce Grasso. Quanto accoglienti e solide saranno le sue mura lo decideranno gli elettori, nel frattempo, come canta qualcuno, “essere liberi costa soltanto qualche rimpianto”.